TERRITORIO DI RANDAZZO
I VIGNETI ACQUATICI DELLA DUCEA NELSON
Testo a cura di Enzo Crimi – già Commissario Superiore del Corpo Forestale della Regione Siciliana, saggista, divulgatore ambientale e naturalista, esperto di problemi del territorio.
Oggi vi parlo dei vigneti sommersi in località Gurrida di Randazzo che sono di proprietà privata e parte integrante di un più vasto e lussureggiante tavoliere a vocazione agricola ubicato su terreni caratterizzati dalla presenza in affioramento circostante di un consistente strato di suolo di natura agrario produttivo, originato dal disfacimento di ammassi detritici con presenze calcaree frammiste ad argilla. A causa della tessitura delle stratificazioni del suolo, nel periodo delle piogge, l’acqua è ristagnante e non di rado tende ad esondare ed allagare l’intero comprensorio. Queste terre lacustri posti ad ovest del lago Gurrida e altri terreni per una superficie di circa 15.000 ettari, a partire dal 1799 erano di proprietà del Re Ferdinando I° delle due Sicilie, da questi riscattate dall’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo e donate in seguito insieme agli abitanti dei luoghi all’ammiraglio inglese Horazio Nelson (Ducea Nelson) per gratitudine di aver represso “uomini scellerati e malvagi” della Repubblica partenopea che tentavano di sottrargli il regno. Dopo alterne vicende, i terreni agricoli, i boschi dei Nebrodi, l’odierno castello Nelson e un’antica abbazia benedettina, dal 4 Settembre 1981 vengono venduti dall’ultimo erede, Duca Alexander Nelson Hood al Comune di Bronte. I boschi e gran parte dei terreni posti a ovest di questo sito dei “nostri” vigneti sommersi, vengono venduti all’Azienda Foreste Demaniali, mentre i terreni agrari, dopo alterne vicende, scioperi e in considerazione della legge di Riforma Agraria, vennero in parte assegnati ai contadini della Ducea ed in parte venduti dai Nelson con agevolazioni di acquisto, ma questa è un’altra storia.
I vigneti sommersi in località Gurrida e nella Ducea Nelson coltivati con vitigni di grenache o alicante originari dei Pirenei, furono introdotti in questo territorio nel 1868 da un enologo della ducea Nelson verosimilmente per contrastare la filossera che è una malattia delle viti, attraverso la loro sommersione nell’acqua. Questi insoliti vigneti, unici nel loro genere in questo comprensorio e coltivati con il metodo dell’agricoltura biologica, generano nobili uve da vino, dalle quali si produceva un corposo vino color rubino una volta molto apprezzato dal mercato interno ed estero e identificato con il nome “Victory”, a ricordare il nome della nave ammiraglia della flotta inglese al comando di Lord Nelson. Sembra che questo vino della Ducea, sia stato presentato ufficialmente a Londra nel febbraio 1890 durante un pranzo e fu giudicato dai sommelier inglesi “…di colore rosso chiaro, buon corpo e puro, per aroma simile allo Sherry”.
Ma é possibile che un vigneto sommerso nell’acqua per mesi, possa vegetare e produrre il frutto? Ebbene si! Ragionevolmente non se ne capiscono le ragioni, eppure questo straordinario fenomeno accade soltanto nei vigneti vegetanti nei pressi del lago Gurrida, il quale, nel periodo invernale esonda e causa l’allagamento delle zone circostanti, compresi i circa 25 ettari di vigneti, un tempo fiori all’occhiello dell’agricoltura locale. Guardando questi vigneti immerse quasi completamente nelle acque, si potrebbe pensare a qualcosa di suggestivo e irreale, tuttavia, è anche un buon motivo per riflettere sulla genialità della natura che ha voluto esprimere questo patrimonio, da salvaguardare per la grande capacità di questa vite di adattarsi. Per tali caratteristiche, questo vitigno costituisce un’autentica unicità e conferma che la Madre Natura non si tira mai indietro di fronte ad una sfida, è talmente imprevedibile e capace di adattarsi a situazioni cosi estreme che spesso nessuno riesce ad immaginare di cosa essa sia capace.
Oggi purtroppo, questi vigneti hanno poca evidenza produttiva, tuttavia, i tempi in cui la produzione vinicola era in auge, sono testimoniati dalla storica e capiente cantina esistente all’interno dell’Azienda Gurrida. Si tratta di una sorta di museo del vino, dove potere ammirare i palmenti in muratura, le macchine e l’attrezzatura enologica e le grandi botti in legno di castagno dell’Etna dove veniva conservato il vino. Agli inizi del secolo scorso il vino, attraverso una locomotiva privata dell’Azienda e collegata con una piccola stazione della Ferrovia Circumetnea realizzata appositivamente nei pressi della proprietà, trasportava il vino nei porti di Catania e di Riposto, per poi proseguire verso i mercati italiani ed esteri. Sembra che nel corso della seconda guerra mondiale, questa cantina è stata il rifugio di alcuni soldati tedeschi, i quali, a colpi di pistola bucavano le grandi botti per prelevare il vino da bere e quando furono costretti a scappare incalzati dagli alleati, sversarono oltre 3 mila ettolitri di vino per terra. Le botti furono riparate ma conservano ancora gli sfregi causati dalla stupidità dei tedeschi in fuga, insomma, un museo del vino ma anche della memoria che ci riporta indietro nel tempo a ricordarci piccole e grandi storie di questo territorio e l’antica e importante produzione del vino della prestigiosa Azienda Gurrida.
In questo preciso momento storico, mi sembra doveroso riportare in questo scritto, che con grande tenacia i giovani proprietari dell’Azienda Agricola Gurrida, stanno tentando di risollevarsi e riemergere da un lungo periodo di precarietà organizzativa. Infatti, attraverso una volenterosa forma di gestione ecosostenibile con al centro la rivalutazione e la conservazione dei beni ambientali, stanno attivando alcune lodevoli iniziative di risanamento del degrado esistente, integrate con la valorizzazione delle produzioni enogastronomici del territorio, il cui prodotto di punta è il vino in quanto favorito dalle caratteristiche del terreno sopra raccontate, dunque, non solo ombre ma finalmente anche luci nascenti.