ALLA SCOPERTA DEI MEGALITI DELL’AGRIMUSCO
di E. Crimi
di E. Crimi
(di E. Crimi)
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(di E. Crimi)
La Grotta del Gelo è la cavità di origine vulcanica più conosciuta dell’Etna, si è formata a circa 2040 m. slm sul versante nord-occidentale dell’Etna, in territorio di Randazzo, ha uno sviluppo di circa 125 metri e un dislivello di metri 30 circa. Anticamente utilizzata dai pastori per abbeverare il gregge, oggi è meta ambita dell’escursionismo etneo. Infatti, l’affascinante spettacolo offerto dalla visione di un piccolo ghiacciaio rappresentato da un consistente deposito naturale perenne di neve ghiacciata, ha stimolato da sempre la curiosità degli escursionisti che ritengono la grotta, certamente una delle più note delle oltre 220 presenti sull’Etna.
Da sempre la grotta del gelo ha rappresentato un intrecciato motivo di studio storico ed anche geologico dell’intrigante mondo ipogeo e del suo lento ed incessante scorrere del tempo. Un affascinante ed inconsueto viaggio all’interno delle recondite profondità, immersi in un silenzio magico, laddove in piena estate il ghiaccio cede il posto ad incantate ombre che si incontrano e si confondono in un gioco sempre nuovo ma occulto, che profuma di misterioso e arcano, ma che ogni piccola disattenzione può trasformarsi in rischiosa trappola. Il suo nome è la sua notorietà, sono dovuti alla sua caratteristica di mantenere una gran massa di ghiaccio al suo interno per quasi tutto il periodo dell’anno, ciò dovuto alla neve che viene spinta dal vento al suo interno facilitata dalla lieve inclinazione del suolo, alle infiltrazioni dell’acqua che si congela per le temperature fredde e al difficile scambio termico con l’ambiente esterno. Con queste condizioni climatiche, la massa glaciale, trovando condizioni di temperatura più favorevoli, ha eseguito una traslazione sul fondo della grotta dove mantiene il suo spessore, rendendo a periodi impraticabile il cunicolo finale.
Per visitarla in primavera, si procede con l’utilizzo di attrezzatura alpinistica tra cumuli di neve presenti sin dall’inizio della galleria e attraverso stallatiti di ghiaccio pendenti dalla volta e un scivoloso strato di ghiaccio, si arriva ad un piccolo ambiente pianeggiante coperto da uno tappeto di ghiaccio cristallino, dal quale traspaiono grossi massi incastonati al suo interno. Da questo si dipartono due gallerie “rivestite” dal ghiaccio invernale: la prima diventa quasi subito impraticabile a causa della gran massa di ghiaccio, la seconda, più ampia, si sviluppa interamente all’interno del ghiacciaio direzione sud e verso l’uscita.
La Grotta del Gelo rappresenta un caratteristico esempio di cavità ipogea originata da meccanismi eruttivi, essendo stata prodotta dal parziale svuotamento di una colata lavica, ed è abbastanza singolare per la notevole ampiezza che supera quella media delle comuni grotte laviche. Essa si apre a monte e precisamente nella parte iniziale delle famose “lave dei dammusi” che costituiscono il prodotto dell’eruzione che in diverse fasi e per 10 anni (1614-1624) interessò il versante settentrionale dell’Etna. Si tratta di una grotta di scorrimento lavico che segue un processo evolutivo che ha origine dalle colate laviche, le quali scorrendo lungo le pendici del vulcano, alle volte si creano dei percorsi per così dire paralleli. La parte esterna, in quanto a contatto con l’atmosfera, tende a raffreddarsi e a solidificarsi prima, mentre il flusso lavico all’interno della colata mantiene il suo calore e continua a scorrere come in una galleria, sino a quando viene alimentato. Quando la colata incomincia ad estinguersi e pertanto il flusso non riceve più propulsione, la condotta si svuota e lascia il posto ad una grotta di scorrimento lavico.
Attualmente la Grotta del Gelo non gode di ottima salute. Infatti, mentre all’inizio della sua formazione avvenuta verosimilmente verso la prima metà del XVII secolo, cioè qualche decina di anni dopo la fine dell’eruzione all’interno della quale si formò, il ghiaccio della cavità raggiungeva uno spessore di circa 2 metri, in questi ultimi anni il ghiaccio al suo interno si assottiglia sempre di più, tanto che a estate inoltrata ne rimane pochissimo e pertanto, essa perde il suo fascino. Ciò è dovuto probabilmente alle variazioni climatiche che stanno interessando il nostro pianeta, alle temperature meno rigide e nevicate sempre meno abbondanti, ai numerosi movimenti sismici del terreno che creano infiltrazioni d’aria che indeboliscono le proprietà coibenti della grotta e non ultimo, al disordinato afflusso dei visitatori che certamente andrebbe regolamentato.
- E. Crimi -
Il calanco è un fenomeno complesso di franamento ed erosione dei terreni fortemente argillosi, tipico del clima mediterraneo. Affinchè questo si formi, sono necessarie alcune condizioni ed in particolare, è necessario che il terreno sia prevalentemente argilloso ma con una certa percentuale di sabbia, i versanti siano con pendenza elevata ma non eccessiva, i terreni siano esposti preferibilmente a sud, il suolo sia sottile e il clima caratterizzato da fenomeni temporaleschi e stagioni secche. L’argilla è un terreno formato da particelle microscopiche di forma lamellare, che aderiscono fra loro. In questi terreni, le gocce d’acqua di un temporale penetrano attraverso le fessurazioni, provocano la disgregazione di piccole particelle di terra e favoriscono il rigonfiamento, indi l’azione solare provoca il ritiro e le spaccature, definite desquamazioni e spappolamento delle argille. In terreni a forte pendenza, una volta spappolata l’argilla viene messa in movimento dal ruscellamento dell’acqua piovana e sottoforma di fiume di fango, prima in forma lieve, poi, asportando ulteriori particelle di terra, in forma sempre più grave, fino a scaricare e smantellare il monte che tende ad essere livellato, si riversa sui campi, sulle strade e i centri abitati, creando danni alle persone e alle cose. Una volta per la sistemazione dei calanchi si adoperavano mezzi meccanici per il modellamento delle creste, o esplosivi, o correttivi del terreno, o prodotti chimici che modificavano la natura stessa dei terreni (flacculazione dell’argilla).
Oggi creando la regimazione delle acque con canali erodenti sulle creste e canaletti di raccolta negli impluvi, si cerca di eliminare le acque superficiali, impedire le colate fangose, facilitare l’attecchimento della vegetazione e accelerando la demolizione delle creste. Il terreno si spoglia rapidamente del suolo, i rigagnoli s’ingrandiscono e si approfondiscono creando dei fossi e aumentando di numero fino a disegnare un fitto reticolo idrografico in miniatura, con vallecole dai fianchi ripidissimi in cui l’erosione di fondo è più veloce di quella laterale. Nella parte alta del calanco, invece, la pendenza è così elevata che il terreno argilloso non può essere stabile: piccole frane si staccano continuamente, provocando l’arretramento del calanco fino alla sommità della collina. I minerali che compongono l’argilla contengono poche sostanze nutritive, pertanto, se le condizioni sono favorevoli al fenomeno, la velocità di erosione è superiore a quella di pedogenesi, cioè alla formazione di suolo adatto ad ospitare vegetazione, ne consegue che le radici delle piante penetrano con difficoltà, respirano male e attecchiscono faticosamente.
(di E. Crimi)
di E. Crimi
CATANIA - Lo scempio che giorno dopo giorno si verifica e a cui è sottoposto il nostro vulcano, l’Etna, si amplifica per mano di persone inqualificabili e rattrista gli animi di tutti coloro che amano il paesaggio naturale. Se i nostri antenati scoprissero ciò che accade, inorridirebbero all’idea della violenza inquinante con la quale hanno usurpato “a nostra muntagna” ovvero Mongibello.
Oggi le foto parlano chiaro: le pendici della nostra montagna sono ridotte ad un ammasso di rifiuti. Per tale ragione abbiamo avviato incontri con le istituzioni, per capire che cosa sta succedendo e su come agiscono le autorità competenti per il controllo del territorio paesaggistico e ambientale.
A tal fine, abbiamo dato priorità all’incontro con il commissario superiore Gianluca Ferlito, comandante del nucleo operativo provinciale del Corpo Forestale di Catania, che ha risposto alle nostre domande.
L’Etna, patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco ridotto in questo modo, com’è possibile?
“Sono fortemente addolorato nel constatare una cosa del genere, purtroppo il territorio è molto vasto e sebbene i nostri controlli e la nostra sorveglianza siano ‘no-stop’, non riusciamo a svolgere un monitoraggio capillare e capace di reprimere tutti i reati di abbandono di rifiuti. Da più di due anni abbiamo chiesto al parco dell’Etna di provvedere ad un sistema di controllo mediante un impianto di video sorveglianza, ma capisco anche che i costi risulterebbero molto gravosi.
A dire il vero, adottando un sistema di videocontrollo intelligente programmato con l’uso di apparecchiature alimentate da energia alternativa, forse, si potrebbe.
Non c’è dubbio che gli enti parchi dovrebbero impegnarsi con progetti prioritari onde evitare fenomeni di abbandono. Il complesso vulcanico dell’Etna riveste particolare importanza e l’attività di controllo, collegata anche al maggior pericolo per la pubblica incolumità, deve essere garantita di concerto con la prefettura di Catania e gli organi preposti come l’INGV, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e la Protezione civile.
In merito al tema dello scempio abbiamo voluto approfondire recandoci nella sede del corpo forestale di Catania, diretto da Antonio Lo Dico, per parlare dell’attività di P.G. e P.S., con il responsabile Giovanni Gubernale.
La situazione sull’Etna è diventata a dir poco paradossale. Il vulcano corre il rischio di essere trasformato in un vero e proprio letamaio?
“In relazione ai compiti istituzionali, il Corpo Forestale opera in ambito regionale con compiti specifici, al fine di perseguire l’obiettivo primario della “sorveglianza”, del controllo, della difesa e della valorizzazione del territorio forestale e montano, del suolo, dell’ambiente naturale e delle aree protette; e il territorio etneo riveste particolare attenzione per l’aspetto paesaggistico collegato con gli Enti parco e con i Gestori delle riserve naturali presenti all’interno che comprendono il 40 per cento del territorio e precisamente il Parco dell’Etna, il Parco dei Nebrodi, il Parco Fluviale dell’Alcantara, le riserve di “Immacolatella (San Gregorio di Catania), il fiume “Fiumefreddo”, la Timpa di Acireale e l’Oasi del Simeto”.
Un immenso patrimonio da salvaguardare e da controllare e si comprende come possa essere difficile poter gestire le attività di controllo.
“Tra i molteplici compiti istituzionali assegnati in ambito di tutela ambientale e controllo del territorio, il Corpo forestale esegue periodicamente censimenti dei punti soggetti a scarico di rifiuti di qualsiasi natura, ricadenti all’interno del Parco dell’Etna”.
Si, ma di che tipo di rifiuti si tratta?
“Le tipologie di rifiuto variano da quello urbano non differenziato a scarti di materiali edili, lastre in fibro-cemento (eternit), carcasse d’auto, copertoni, materiali plastici, frigoriferi, cucine, divani e tanto altro genere. La loro ubicazione, purtroppo interessa buona parte del parco, come la località “Ruvolita, Passo Zingaro e Parlata” nel comprensorio di Adrano; le località “SS.Cristo”, “Ciapparo”, “Barbotte-Nave” nel comprensorio di Bronte; le località “Montarsi”, “Nocille”, “Ripe della Naca” nel comprensorio di Giarre; le località “Fossazza, Roccacampana, Chiuse Nocille, Borrilione, Vignazza, Cerro, Piano Felci, Casazza”, nel comprensorio di Castiglione di Sicilia e di competenza del Distaccamento Forestale di Linguaglossa; le località di “Gallinaro, Serruggeri, Gervasi, Rinazzo, San Leo, Molinaro, Milia, Monte Arso, Cozzarelli”, nel comprensorio di Nicolosi; le località “Dagala Longa, Ravaggi, Bocca Dorzo, Montelaguardia” di Randazzo; le località “Monte Arcimis, Pozzo Cavotta, Dagalone, nel comprensorio di Zafferana Etnea”.
E come si provvede a bonificare le aree?
“In sinergia con le amministrazioni locali, spesso vengono eseguite le operazioni di rimozione dei materiali, anche se la complessità della materia imporrebbe una maggiore sensibilizzazione da parte di tutti gli organi competenti in materia ambientale“.
Imporebbe?… o impone!
“Il Corpo Forestale non solo espleta l’attività repressiva che viene condotta con la presenza sul territorio utilizzando anche moderne tecnologie di monitoraggio e controllo dello stesso. Ma vi è l’assoluta necessità di effettuare impianti di video controllo sofisticati e moderni, pronti a a reprimere, ma anche a dissuadere scempi di tale portata. Poi l’azione repressiva ha bisogno di essere coadiuvata dell’azione educativa e divulgativa da parte delle scuole dell’obbligo, mediante l’attività di una vera e propria educazione ambientale, per arrivare al conseguimento di specifiche professionalità, accogliendo istanze di tirocinio pratico per la stesura di tesi di laurea presso questo Ispettorato“.
L’Etna, il colosso che sovrasta la Sicilia, viene ammirato e amato da migliaia di anni. Attraverso carmi e melodie per la sua attraente bellezza, i suoi paesaggi fatati, le sue aurore paradisiache e i suoi tramonti incantevoli è stato reso immortale persino nei ricordi. Senza dimenticare il suo carattere mite, pacioccone ma a volte irruento, che ha attirato l’attenzione di milioni di persone desiderose di venire a trovarlo e anche ad innamorarsene. Può davvero essere il degrado il suo destino?
Qualche metro prima di arrivare al bivio per la contrada Flascio, lungo la SS.120 che da Randazzo conduce a Cesarò, vi è un breve spiazzo dal quale si inerpica la regia trazzera che attraverso l’estrema propaggine sud dei monti nebrodi porta a Floresta. Quasi al confine territoriale con l’ameno paese nebrodeo, affioramenti di roccia sedimentaria danno immagine a straordinarie sculture naturali modellate dal tempo che si ergono nel loro immobilismo come a volere testimoniare la loro possente presenza a guardia delle meraviglie naturalistiche di questo territorio. In questo angolo di territorio, dove la natura ha voluto esprimere la sua generosità, hanno il giusto risalto boschi misti disetanei di faggio, acero, cerro e castagno che, per certi versi ancora tèrsi, si stagliano nel cielo e scendono fino agli argini del fiume Alcantara, offrendo spunti per riflessioni contemplative. Qui, ai bordi di questa vetusta regia trazzera, nel comprensorio territoriale di Pietre Bianche, in agro di Randazzo, fanno da cornice veri e propri capostipiti della flora arborea presente nell’area. Uno di questi “grandi patriarchi” della vegetazione naturale presente su tutto il territorio, è il grande faggio scuro, ovvero uno splendido esemplare di faggio di almeno 500 anni di vita, vegetante in quest’area, che per la sua centenaria età potrebbe raccontare la storia antica e recente di questo vasto comprensorio, i doviziosi intrecci con le popolazioni locali, sempre presente e testimone del passaggio di tante tradizioni, culture e civiltà che hanno contraddistinto in passato queste terre che si specchiano nel fiume Alcantara. Il faggio (Fagus Sylvatica), della famiglia delle fagaceae in Sicilia ha il proprio estremo limite meridionale e occupa le quote più elevate delle stazioni presenti in Europa, riuscendo addirittura a vegetare sull’Etna sino a circa 2200 metri di altitudine. La pianta “madre” della fascia fitoclimatica del fagetum, costituisce sicuramente una delle essenze forestali caducifoglie più importanti presenti nel panorama naturalistico isolano. La corteccia è grigio-argentata, le foglie sono piccole ed ovali con margine intero a volte ondulato, di colore verde intenso dalla parte superiore e leggermente più chiaro nella pagina inferiore. Nel periodo autunnale offrono una suggestiva impressione cromatica quando prima di cadere passano, dal verde intenso al giallo e infine, al marrone.Il faggio, maestoso nella sua portanza, può raggiungere l’altezza di circa 30 metri. Il tronco in prevalenza diritto e regolare, detiene ottime caratteristiche strutturali che ne favoriscono la sua utilizzazione nei più svariati lavori. La chioma a mosaico con le foglie adulte tutte posizionate sullo stesso piano, si presenta ampia, densa e appariscente, rendendole un portamento inconfondibile. Le inflorescenze maschili sono rappresentate da “spighe penduli” tondeggianti, sostenute da lunghi peduncoli; quelle femminili da fiori racchiusi a due a due nelle ascelle delle foglie. I frutti del faggio hanno peculiarità similari ai ricci del castagno e quando a maturità si aprono, lasciano cadere dei semi, denominati “faggiole” , molto ricche di olio che si maturano in un anno .In passato il faggio veniva ceduato per farne legname da opera e utilizzato nella costruzione di arnesi da lavoro e per la realizzazione di sofisticati mobili ad intarsio. Lo stesso veniva usato come legna da ardere o trasformato in carbone vegetale.Come tantissime altre piante, il faggio è stato sempre accostato dai popoli antichi, a miti e leggende. Ad esso sono stati attribuiti anche poteri magici e per questo è stato oggetto di culto. Nella foresta di Verzy in Francia, la presenza di alcuni faggi, per la loro conformazione, inquietava il popolo, convinto di avere a che fare con creature mostruose. In Lussemburgo si pensava che il faggio fosse una pianta protetta dagli dei e quindi non poteva essere distrutta neanche dal fulmine. |
Vincenzo CRIMI |
(Commissario del Corpo Forestale) |
L’Etna e i suoi territori lavici, anche se apparentemente inerti e poco ospitali, sono elementi e aree ricche, da subito colonizzate da specie erbacee, arbustive ed anche arboree, a loro volta rifugio o cibo per diverse specie di animali.
I Nebrodi, dove i rigogliosi boschi, come veri e propri “Santuari della natura”, sono i protagonisti indiscussi della storia di questo territorio, un ambiente tutto da scoprire, da saper amare e guardare con il dovuto rispetto.
Il sistema fluviale dell’Alcantara rappresenta un connotato naturalistico che ha dell’eccezionale, ove la natura ha saputo modellare l’ambiente in modo straordinario e unico.
Un trittico di grande valore naturalistico, ovvero, la rappresentazione reale di questo intrigante territorio, che testimonia all’uomo moderno la grandezza della natura. Le peculiarità geologiche, le presenze faunistiche e botaniche, tutto contribuisce a fare di questo vasto comprensorio un ecosistema veramente raro.
Vincenzo Crimi