ANNOTAZIONI DI TUTELA AMBIENTALE
(di E. Crimi)
All’inizio il patrimonio naturalistico donatoci dalla “Madre Natura” era puro e incontaminato, mantenuto tale dalla sola catena della vita. Sulla terra siamo circa 7 miliardi di persone, sin dalla nostra prima comparsa sul pianeta, abbiamo modificato a nostro vantaggio gli ambienti naturali per cacciare, coltivare, spostarci, costruire. Abbiamo plasmato il mondo a nostra immagine, abbiamo costruito immense città dove viviamo, abbiamo realizzato porti e spianato immensi territori per costruire le nostre fabbriche, con le nostre navi trasportiamo persino le foreste. La terra ci ha consegnato le sue immense ricchezze naturali e tutte le forme di vita sul pianeta sono a noi sottomesse. Comprendiamo le conseguenze del nostro potere? Frughiamo incessantemente in ogni angolo del globo per nutrirci, siamo diventati i più grandi predatori delle risorse naturali, questo nostro viaggio ci ha portati molto lontano ed è arrivato il momento di renderci conto di cosa sta accadendo. La terra è talmente estesa che siamo arrivati a credere che abbia risorse talmente infinite, ma ci sbagliamo, il nostro pianeta ha una limitata capacità di rinnovamento che dobbiamo assolutamente imparare a gestire.
Questa è la ragione per cui sin dall’origine, tutto ciò che vive sulla terra rispetta regole e ritmi è il principio della legge della natura, e noi vogliamo restare sulla terra? Vogliamo avere un posto per noi anche un domani? Tra l’uomo e l’ambiente nel corso dei millenni si è stabilita una connessione molto stretta che si è prolungata nel corso del tempo fino ai giorni nostri. Poi l’uomo, forse inconsapevolmente, lo ha minacciato con la sua sete di utilizzo della materia prima, per soddisfare i suoi bisogni, lasciando sì che l’interesse personale, egoistico, prevaricasse su quello ambientale. La capacità dell’uomo di incidere sull’ambiente non era mai stata tale da rischiare di comprometterne l’esistenza stessa.
Le aree che rischiano maggiormente di soffrire le conseguenze peggiori sono proprio quelle più ricche di biodiversità, spesso costituite da foreste che, in alcune aree geografiche purtroppo, stanno scomparendo a ritmi drammatici, a causa dell’indiscriminato attacco che l’uomo sta portando contro di esse. La biodiversità è la vita esistente sulla terra in tutta la sua diversità e comprende tutte le forme di vita, siano esse animali o vegetali, i differenti habitat in cui vivono le specie quali gli ecosistemi come il bosco o le acque, nonché la diversità genetica delle sottospecie, le varietà e le razze. La biodiversità è il risultato di milioni di anni di evoluzione e rappresenta quindi, la base e il potenziale di tutti i processi vitali e le prestazioni degli ecosistemi sul nostro pianeta.
Oggi, con l’avvento dell’era industriale, grazie al progresso tecnologico che consente modificazioni su scale prima impensabili, e grazie al numero assai maggiore di esseri umani che vivono sulla terra, l’impatto dell’uomo è diventato tale da rischiare di modificare il normale corso degli eventi naturali. L’ambiente naturale rappresenta i valori culturali e spirituali fondamentali per molte comunità umane e tuttavia, la presenza dell’uomo non è stata sempre vantaggiosa per esse e a seconda dei periodi storici, l’uomo ha influito nella loro esistenza, a volte in modo positivo ma anche pesantemente. Infatti, l’uomo ha profondamente alterato l’ambiente a livello globale, modificando i cicli biogeochimici, cambiando l’uso del suolo, trasformando il territorio. Tutto ciò ha inevitabilmente condotto alla perdita di un enorme numero di specie che si sono estinte per 100-1000 volte in più rispetto all’era pre-umana. La distruzione o l’impoverimento degli ecosistemi attraverso la diminuzione del numero degli individui e delle specie, compromette la loro stabilità e provoca un rallentamento dei cicli che si svolgono attraverso di essi.
La tutela dell’ambiente è oramai diventata una priorità assoluta e di portata nazionale, ogni ipotesi di sviluppo e conservazione dell’ambiente è però condizionata dai continui e preoccupanti attacchi che essi subiscono: inquinamenti, disboscamenti, degrado e incendi, motivi questi che porteranno all’impoverimento del nostro, già precario, patrimonio naturalistico e conseguente modificazione irreversibile dell’ambiente. Solamente a causa degli incendi boschivi, nell’ultimo decennio abbiamo perso in Italia circa 500 mila ettari di bosco; ma è ancora più grave il fatto che non siamo ancora riusciti a ricostituire il prezioso patrimonio boschivo perso. Il bosco, infatti, contribuisce, non solo a stabilizzare il terreno, ma perfino a migliorare il paesaggio svolgendo un compito molto importante ai fini dell’equilibrio naturale. Tale consapevolezza purtroppo non ha frenato taluni attacchi indiscriminati al nostro patrimonio naturalistico che, oltre a creare notevoli danni ai beni economici delle comunità, risultano forieri di disastri ambientali difficilmente quantificabili a breve termine ma certamente aventi gravi ripercussioni sulle generazioni future.
Sono molteplici le grida di allarme che ci pervengono periodicamente dalla comunità scientifica, la terra è in pericolo, l’uomo è in pericolo, e questa nostra prosperosa civiltà dei consumi, sta gettando le basi per una folle e sconsiderata autodistruzione di un pianeta malato, stanco, oltraggiato da uno sfruttamento sconsiderato in cui ogni cosa, animata e inanimata, ha valore unicamente se e in quanto merce, prodotto da vendere. L’amore per la natura deve essere una battaglia continua con chi è privo di intelligenza naturalistica, sia esso uomo comune o un uomo delle Istituzioni, ognuno di noi deve operare per il bene dei valori naturalistici che esprime il territorio, pur nella consapevolezza che non tutte le persone detengono una sensibilità naturalistica e allora, non avendo rispetto per l’ambiente, esso ne risente e i sintomi sono gli incendi, i disboscamenti, gli inquinamenti, i dissesti idrogeologici, i rifiuti, insomma, la mancanza di rispetto per l’ambiente. I rifiuti, ovvero, la faccia scura della nostra civiltà opulenta, quindi bisogna “educare” la popolazione ad essere più rispettosa verso l’ambiente.
Certamente la repressione non può bastare a controllare e reprimere questo increscioso fenomeno che purtroppo va attribuito ad una causa sociale che scaturisce dallo scarso senso civico e da una marcata presenza di illegalità diffusa, in particolare nelle zone del meridione d’Italia dove più accentuato è il divario culturale relativo alle problematiche ambientali. E’ difficile interagire con chi è privo di cultura dell’ambiente che faccia comprendere la vera importanza del nostro patrimonio naturale. A volte nei comportamenti, anche i più attenti alle problematiche ambientali, si lasciano avvolgere dal torpore spirituale che tende a spegnere l’amore per l’ambiente naturale. Quando sono in discussione gli interessi della collettività, é lo Stato che dovrebbe intervenire. Ma quale Stato, quali Istituzioni? In alcuni casi lo Stato (o chi lo rappresenta) diventa debole e ha paura di avere coraggio nel prendere delle decisioni impopolari, anche quando un territorio volge alla noncuranza e all’oblio.
Non bisogna certo avere una mente eccelsa per comprendere che l’interesse del legislatore verso la natura e l’ambiente, sembra oramai una foto sbiadita, che tende a scomparire definitivamente dalle tematiche politico-sociali che si discutono oggi, e allora, come in un gioco onirico, l’animo contemplativo di chi è attento alle problematiche ambientali, molte volte, si infrange sugli irti scogli della noncuranza che i “nostri” politici governanti nutrono verso i beni naturalistici del creato. La conoscenza degli aspetti legislativi attinenti al settore ambientale può rappresentare per l’uomo fonte di arricchimento culturale riguardo a tematiche naturalistiche. Nell’ordinamento giuridico italiano la protezione dell’ambiente, bene che assurge a valore primario e assoluto, è imposta dai precetti costituzionali (La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione – art. 9 Costituzione Italiana). Inoltre, al di fuori degli ordinamenti scritti dall’uomo, sono sottintese le norme che non amano i codici e che provengono direttamente dal nostro cuore che dobbiamo sapere ascoltare. Pertanto, la configurabilità dell’ambiente come bene giuridico e trascendentale non può essere ignorata e calpestata dall’uomo attraverso tagli continui alle risorse finanziarie, perché essa rappresenta una garanzia per consentire una qualità della vita a livelli accettabili. Eppure, il legislatore con la sua mente piccola, non ha ancora la piena consapevolezza della gravissima crisi ambientale che gli uomini con l’intelligenza naturalistica, figli di questa terra splendida ma martoriata dalla ipocrisia dei “senza anima” stanno vivendo. Una crisi che nessuna ideologia o sistema riusciranno facilmente a oltrepassare, e che non troverà certo soluzione in appelli e impegni sempre meno credibili, sullo scenario di un progresso a tutti i costi a oltraggio dell’ambiente, dell’espansione illimitata a spese dei più deboli e degli egoismi individuali, che chiudono mente e cuore al vero equilibrio della vita.
L’umanità sta commettendo un grave errore e la “Madre terra” da dove veniamo tutti noi sembra lontanissima e vaga, non guardiamo più alla bellezza del pianeta ma solo a quanto può fare per la nostra specie e cosa ci permette di produrre. Lasciamo impronte ovunque andiamo, il pianeta è nostro e tutto ciò che vive intorno a noi è danneggiato dalla nostra esistenza. E ora, dove andremo? Forse stiamo sognando se pensiamo di andare avanti con questa frenetica crescita senza che vi siano conseguenze per l’ambiente. Come siamo arrivati a questo punto in cui non vediamo più ciò che ci circonda? Quante volte ognuno di noi ha dovuto pensare che alcune circostanze o accadimenti non sono in linea con le dotazioni culturali naturalistiche di un paese civile? Che futuro ha un popolo che non rispetta il suo ambiente naturale? Un grande capo indiano affermava che la terra non appartiene all’uomo, ma e’ l’uomo che appartiene alla terra, tuttavia, non possiamo fermarci a degli slogan filosofici che arricchiscono la mente e a volte impoveriscono la praticità giornaliera dell’agire che invece va corroborata.
E’ necessario conoscere e rispettare le leggi che regolano la natura e preservare dalla distruzione le risorse di cui disponiamo. Talvolta, ci si sente chiedere: l’uomo non può vivere ugualmente bene anche se alle infinite specie di animali e vegetali che si sono estinte nel passato se ne aggiungano ancora delle altre? Non può vivere egualmente bene sottoponendo tutti i boschi a indiscriminati tagli, senza lasciare nessuna area allo stato naturale? Ma perché difendere l’Ambiente? Innanzi tutto dobbiamo difendere gli ambienti naturali e le specie rare per motivi scientifici che rappresentano uno sviluppo di idee, di teorie, il cui primo scopo è cercare di spiegare il mondo in cui viviamo e i suoi fenomeni.
Qualsiasi specie di animali o di vegetali e qualsiasi ambiente ancora preservato all’azione nefasta dell’uomo può prestarsi a studi del più alto interesse, che possono arrecare grandi contributi alla conoscenza delle leggi della natura. Un altro motivo per cui dobbiamo difendere gli ambienti naturali è la salvaguardia della diversità degli esseri viventi, animali o vegetali, risultato di una lunga evoluzione, costituisce una delle più importanti condizioni della stabilità della biosfera nel tempo. La nostra storia di uomini assennati ci porta a volte a “vivere come vittime” questa condizione, senza alcuna speranza che tutto può cambiare, usiamo ciò per giustificare le nostre azioni…questo è frustrante. La percezione che oggi abbiamo seguendo i mass-media, è quella di un Pianeta quale sistema chiuso, nel quale ogni risorsa naturale trova i suoi limiti nella disponibilità e nella capacità di assorbimento dell’ecosistema, in altre parole la coscienza dei limiti dello sviluppo di questa nostra società contemporanea, ha aperto la strada ad un dibattito alquanto profondo e ad una crescente attenzione da parte della comunità scientifica e della società civile.
La tutela e la salvaguardia dell’ambiente passa attraverso l’apprendimento e lo studio di tutte le componenti che con esso interagiscono. Il rapporto che l’uomo ha saputo nei secoli creare con l’ambiente si fonda proprio su benefici e difficoltà che hanno caratterizzato le attività antropiche che ivi si sono sviluppate e che hanno reso le aree naturalistiche fonte di benessere per la qualità della vita, creatrici di ambiti ricreazionali nonché protagoniste nella conservazione e valorizzazione del patrimonio ambientale, paesaggistico ed idrogeologico. La conservazione dell’ambiente e la salvaguardia della sua funzionalità si pongono in quanto funzionali alla perpetuazione del flusso di utilità che da esso è possibile ritrarre vale per quanto produce, anche se sono beni non facilmente monetizzabili come ossigeno, fauna selvatica, spazio ricreativo, paesaggio, ecc..
Oggi, nei paesi industrializzati, la società chiede a voce alta questi valori, come il miglioramento della qualità ambientale (aria, acqua non inquinate, ecc.) e della vita anche sotto il profilo paesaggistico, culturale e spirituale. Dunque, l’ambiente come capitale da salvaguardare, nella considerazione del rapporto critico tra crescita ed ecosistema e del processo irreversibile costituito dallo sfruttamento delle risorse non rinnovabili. Forse non è lontano il momento in cui l’umanità dovrà guardarsi allo specchio e fare i conti con un forviante concetto di progresso e di sviluppo a tutti i costi, forse arriverà il tempo di trovare radicali soluzioni ad un quadro globale devastante che, di giorno in giorno, si aggrava sempre di più. Con un pizzico di auspicabile ottimismo, dobbiamo augurarci che qualcuno, chi deve decidere, si accorga dei propri errori ed arrivi il momento in cui si renda conto che l’inestimabile valore ambientale è meritevole di grande attenzione e tutela. Pur sapendo cosa sta accadendo, non possiamo più cambiare il corso degli avvenimenti, ma forse una nostra coscienza collettiva innescherà una reazione a catena e salverà la nostra specie se reagiremo in tempo. L’uomo può evolversi positivamente solo se capisce che è in armonia con i beni di “Madre natura” e per capirlo deve tornare indietro e cercare nel passato le proprie origini naturalistiche. Solo il ritorno alla Terra e alla Natura, come energie ispiratrici e benevole, e la riscoperta del Creato come patrimonio prezioso da non sperperare, vero bene naturale comune da preservare con cura anche per i figli dei nostri figli, faranno superare tutte le difficoltà e renderanno più agevole qualsiasi ostacolo.
Dalla consapevolezza di voler operare verso azioni orientate alla ecogestione del territorio e delle attività antropiche prende l’avvio il concetto di “Sostenibilità globale e locale” e “Sviluppo Sostenibile”, che deve semplicemente garantire i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri, ciò attraverso l’armonizzazione di elementi sociali, economici ed ambientali. Insomma, un miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende. Il concetto informatore di questo modello di sviluppo, compatibile con le esigenze di tutela e salvaguardia delle risorse e capitale dell’umanità, ripropone una visione del mondo nella quale il fine ultimo è rappresentato dal raggiungimento di una migliore qualità della vita, dalla diffusione di una prosperità collettiva crescente ed equa, dal conseguimento di un livello ambientale non dannoso per l’uomo e per le altre specie viventi e nel quale sia possibile una più equa accessibilità alle risorse.
Insomma, diventa essenziale incentivare lo “sviluppo sostenibile” e far fronte alle esigenze della generazione attuale senza compromettere il benessere delle generazioni future. Questo è un principio che, se attuato, può portare ad un rapporto migliore uomo-ambiente, può aiutare a consegnare nelle mani dei nostri figli e nipoti, un mondo meno malato di quello che attualmente abbiamo, che, ogni giorno, soffre sempre più. Se tutti noi facessimo qualcosa per e nel il rispetto dell’ambiente, avremmo fatto il bene dei nostri figli.
LE QUERCE CENTENARIE DI MONTE EGITTO DI BRONTE
(di E. Crimi)
Il bosco incantato di Monte Egitto, un luogo davvero fatato nel quale prendono forma i sogni. Tra una folta pineta, a circa 1600 metri di quota slm, all’interno del millenario vulcano spento di Monte Egitto, in territorio di Bronte, esistono alcune maestose querce della specie “Quercus pubescens”, definite “Grandi patriarchi” della vegetazione naturale presente su tutto il territorio etneo e non solo, dall’età vetusta di oltre 500 anni. La determinazione delle Querce, è spesso resa difficile dalla presenza di numerosissime specie e individui ibridi che, malgrado fra di essi non esistano delle vere e proprie separazioni genetiche e di carattere morfologico, riducono la conoscenza delle singole varietà. Queste diversificazioni diventano molto attenuate quando più specie vivono a contatto diretto. Robusta, possente e longeva, la quercia simboleggia la forza e la saggezza sin dai tempi greco-romani.
Considerata da molti popoli arcaici come la prima pianta a fare la sua apparizione sulla terra, la quercia è la pianta mediterranea per eccellenza, predilige i luoghi molto luminosi e vegeta sui terreni di qualsiasi natura, anche se predilige quelli calcarei. Il tronco è robusto e la chioma densa e irregolare, i rami giovani sono coperti da un feltro lanuginoso biancastro. La corteccia è bruno scuro, fratturata in placche isodiametriche. Le foglie, non molto grandi, hanno un picciuolo breve, la loblatura profonda ed acuta, sono oblanceolate, chiare-tomentose dalla parte inferiore e verdi scure dalla parte superiore. Evidenziano una leggera peluria quando sono giovani, lisce e lucide appena raggiungono le dimensioni definitive. La cupula è a squame lanceolate. Il legno di roverella viene utilizzato per ardere e trasformato in carbone vegetale.
Si narra che questi alberi monumentali, sembra siano dimora di comunità fatate, e che piccoli esseri magici difendono strenuamente la loro secolare esistenza dagli attacchi dell’uomo e del tempo. Queste creature dalle bizzarre forme, che da sempre hanno popolato la fantasia ed alimentato le leggende, ora entrano attivamente nel mondo irreale di Monte Egitto, rendendo questo luogo, sede privilegiata di incontri arcani ed apparizioni in cui paure, incertezze, immaginazione, sanno di incanto e di meraviglia. Pare sia solo questione di sensibilità, ed ecco che d’improvviso la loro presenza si materializza e smaterializza in pochi istanti. Alcuni escursionisti giurano di aver visto questi esseri magici e forse anche, orchi e streghe, aggirarsi in questo luogo di presunti incantesimi e sortilegi, sito del mistero e delle potenze divine, dove viene approfondito il rapporto storico tra uomo e natura coniugando storia, tradizioni, fantasia e scienza. Questi alberi monumentali, che incutono, per dimensione e vetustà, rispetto e meraviglia, sono anche facile oggetto di leggende o di aneddoti, raramente veritieri, perché quì tutto sembra incantato e l’ambiente è ideale per trasformare le leggende in realtà. Forse si è originato tra queste querce il mito di Giasone e il “Vello d’oro”.
Insomma, un itinerario tra il fantastico e l’ecologico, in un remoto cratere spento dell’Etna occidentale, a cui fanno da cornice immense colate laviche di diverse epoche, anfratti e grotte oramai vacui, che offrirono riparo alle belve, ai primi uomini preistorici, ai contadini, armenti e pastori dei nostri tempi. Il confine tra cultura, scienza, fantasia, reale ed immaginario è uno spazio che, ricollegandosi alla tradizione del mondo dell’immaginario, potremmo definire come “Mondo di Mezzo” dei film fantastici, è quello spazio che può costantemente cogliere l’intelligenza, unica capace di trasformare ciò che è invisibile alla cultura, in cose reali e riferimenti certi. Un luogo incontaminato, preservato, che nasconde un mistero salutare e benefico che si intreccia con il mito del grande Signore del fuoco: l’Etna. In verità, chi ha la fortuna di passeggiare tra queste monumentali piante con i sensi desti e l’anima ricettiva alla contemplazione, può percepisce la potenza magica di questa straordinaria vegetazione secolare, può cogliere la magia della luce che filtra tra gli alberi, il mormorio del vento, il richiamo degli animali, il canto degli uccelli ed esclama come il poeta Esiodo: “Certamente questo luogo è sacro”.
Si, questo luogo è davvero sacro e popolato da molte forme di vita, piante ed animali, che nell’interazione con la cultura umana e gli occhi ascetici, hanno anche contribuito a comporre nell’immaginario collettivo, la parvenza di molti esseri fatati. Nella condizione umana reale questi alberi ultra centenari di querce, forse conosciuti dall’uomo ancora prima della scoperta del Nuovo Continente Americano, sono solo un’entità tangibile che per la loro età potrebbero raccontare la storia antica e recente di questo vasto comprensorio e i doviziosi intrecci con le popolazioni locali. Essi, dal solo fatto di essere stati, per longevità, muti testimoni di secoli di storia, sono testimoni solenni di tutti gli eventi ai quali sono sopravvissuti nel corso del tempo, al passaggio di tanti uomini, culture e civiltà che hanno contraddistinto in passato queste terre, dove vivono ancora.
Questi alberi assumono una grande importanza anche come habitat, dando rifugio a moltissime specie di insetti, di uccelli e anche di mammiferi. La presenza di queste piante secolari aumenta quindi la diversità di questo ambiente e conseguentemente il numero di specie animali e vegetali presenti in questo territorio, aumenta complessivamente quella che attualmente viene definita con il termine “biodiversità”. Non abbiamo notizie storiche certe riguardo l’origine e la gestione che hanno consentito la grande longevità di queste piante secolari presenti in questo comprensorio.
Le poche frammentarie e verosimili informazioni, che pur hanno una base di veridicità, sono state ricavate da notizie e racconti che ci hanno lasciato gli anziani, storie e ipotesi che a loro volta hanno sentito da altri anziani, che nel corso dei secoli si sono succeduti su queste terre. Già in pieno XVI° secolo, gli ordini monastici, che nei secoli precedenti avevano sostenuto e dato impulso alla conversione delle foreste in aree agricole, iniziarono a proteggere e potenziare le aree boschive poste sotto il loro controllo. L’Italia di allora era soltanto un’entità geografica divisa e certamente mancava del requisito dell’uniformità tra i vari Stati, tuttavia, straordinari documenti di allora, testimoniano come in questo periodo i boschi erano considerati una importante risorsa e l’indirizzo era comune ed interessava la salvaguardia del patrimonio forestale. Si stava formando una nuova concezione di bosco più attenta alla gestione ecologica. La visione del bosco era intesa come esclusiva utilità e patrimonio comune delle comunità montane che ne esercitavano un’attenta gestione finalizzata alla mera difesa del suolo dai degradi e dissesti idrogeologici.
Verosimilmente queste piante secolari si possono inserire all’interno di un contesto ben consolidato di utilizzo di queste superfici a pascolo arborato, nelle quali, dovendo necessariamente esercitare il pascolo, con grande equilibrio colturale, si tende a conservare anche gli alberi che isolati, o in gruppi, coprono più o meno il terreno in modo che il loro numero possa assicurare una copertura arborea e nello stesso tempo, non possa mai essere a detrimento della produzione erbacea da pascolo. Si pensa che queste piante erano tenute in grande considerazione per la raccolta delle ghiande da destinare agli animali domestici e per il pascolo brado; il fogliame serviva da lettiera per il bestiame e le frasche fornivano un’integrazione alimentare. Inoltre, le piante fornivano legna secca per cucinare e per il riscaldamento degli antichi ricoveri pastorali montani in pietra lavica, ancora oggi ben presenti e conservati in zona.
Questi usi, che erano ben impiegati su tutto il comprensorio etneo, testimoniano l’esistenza nel passato di un’intensa attività di pascolo estensivo che ha portato nel tempo alla formazione e allo sviluppo di una folta cotica erbosa la quale nel periodo estivo, stimolava la transumanza delle greggi, che accompagnate dai loro pastori e dai loro cani, si spostavano dalle cosiddette zone pianeggianti per recarsi all’alpeggio su questi ampi territori del comprensorio di Monte Egitto ed ancora più ad alta quota. Il pascolo intenso e non selezionato del passato, sommato alle condizioni climatiche dei luoghi, bloccava qualsiasi processo evolutivo verso formazioni vegetazionali più avanzate e uniformi. Quindi, nel corso dei secoli, si sono formate queste caratteristiche praterie etnee che in questo settore specifico erano molto ampie e diffuse, tanto che agli inizi degli anni sessanta, dopo secoli di consuetudini, si è tentato di ristudiare attraverso un’attenta regolamentazione dell’esercizio del pascolo, ed in particolare del carico di bestiame assegnato e del rimboschimento con una pineta artificiale.
Questi alberi ultracentenari, che andrebbero inserite nell’apposito Registro Nazionale delle piante Monumentali, corrispondono a precisi criteri di dimensione, rarità botanica, forma, valore paesaggistico, pregio in termini di architettura vegetale e legame con gli eventi storici, insomma, sono un patrimonio della Terra e di questo territorio, perché sono riusciti a sopravvivere a siccità e alluvioni, incendi e malattie, inquinamento e devastazione umana ed eventi naturali. In definitiva, sono veri “campioni”, esemplari geneticamente più forti che hanno vinto la gara della selezione naturale, ma che hanno bisogno di continua protezione. I grandi alberi veri patriarchi della natura, richiamano sempre più l’attenzione e impongono attente riflessioni in ordine all’opportunità o alla necessità di prevedere per essi specifiche misure volte alla tutela o a favorire la loro conservazione nel tempo. La loro straordinaria età, per certi versi, rappresenta una minaccia per la loro stessa vita che in fase così avanzata, risente il peso della grande competizione biologica che devono affrontare con le altre piante più giovani del comprensorio, ed in particolare con il pino laricio artificiale ivi impiantato, che per natura è un grande colonizzatore. Insomma, una concorrenza impari che va aiutata attraverso la predisposizione e pianificazione di uno straordinario progetto d’intervento pluriennale finalizzato a valorizzare e fare emergere i valori ecologici di queste piante.
Ecco, l’uomo, se vuole ancora godere della loro arcaica presenza, deve proteggere questi sui straordinari patrimoni ecologici attraverso interventi silvo-colturali che prevedano tagli di diradamento libero equilibrati e di modesta entità delle piante di pino concorrenti che asserragliano le querce secolari. L’intervento deve essere mirato e discreto, eseguito a macchia di leopardo, distanziato nel tempo e nello spazio, per non compromettere la funzione ambientale del bosco, con l’obiettivo di sostenere queste “piante madri” nel percorso di vita che ancora li aspetta, in modo da assicurare loro una maggiore esposizione alla luce del sole e renderle più vigorose, favorire la mineralizzazione della sostanza organica indecomposta sul suolo, facilitare la crescita del sottobosco e della flora spontanea e aiutarle nel mantenimento dell’equilibrio del sistema di animali e vegetali che rappresenta le irrinunciabili risorse uniche per l’uomo.