ALLA SCOPERTA DEI MEGALITI DELL’AGRIMUSCO
di E. Crimi
- Come il misterioso simbolo fallico della fertilita’ situato nel bassipiano di Orgale nei pressi di Castiglione di Sicilia, un altro luogo da visitare, denso di grande fascino e mistero, è il sito preistorico dei megalitici sull’altipiano dell’Agrimusco, dove l’estrema propaggine orientale dei monti Nebrodi si salda con la parte occidentale dei monti Peloritani, e precisamente, in comune di Montalbano Elicona, in provincia di Messina. Sin dall’alba del mondo sappiamo che i Megaliti dell’Agrimusco, e tutti gli altri sparsi per il mondo, hanno sempre rappresentato dei veri e propri misteri e la storia antica dell’uomo è ricca di fatti inspiegabili e non comuni.
Su questi straordinari monumenti rupestri, conosciuti anche con il nome di “Menhir”, sappiamo ben poco, sia sul senso o funzione della loro esistenza e ancor meno notizie abbiamo riguardo i loro creatori. Le ipotesi riguardo questi grossi blocchi di pietra arenaria sono diverse, come diverse sono le discordanze anche tra gli studiosi. Molti di essi sostengono che si tratta di manufatti riconducibili a consuetudini religiose con riti primordiali collegati alla simbologia della fertilità, altri sostengono un significato con finalità archeo-astronomiche, in quanto orientati e collegati con i punti cardinali, ai quali riconoscere una funzione antesignana di osservazione degli astri, dei cicli delle stagioni, equinozi e solstizi, da sempre date mistiche e venerate dalle antiche civiltà sparse in tutto il mondo conosciuto. Infine, alcuni ricercatori li accostano a miti e fantastiche leggende di giganti che si dedicavano alla pastorizia, ma anche storie umane, arcaiche ma reali, dove la vita delle sue creature ha seguito il suo percorso di naturale straordinarietà pari solo a se stessa.
Lasciando l’opinabile ai sognatori, nella realtà indiscutibile, queste formazioni rocciose sono particolari monumenti costituiti da grandi blocchi di roccia arenaria, grossolanamente squadrati, piantate nel suolo la cui area di diffusione è molto ampia in tutto il mondo, a rappresentare le testimonianze più antiche dell’architettura preistorica. Queste maestose sculture, hanno sempre attratto l’interesse di ricercatori e la curiosità di semplici escursionisti, impegnati nella ricerca continua di testimonianze del passato, di natura antropologica e naturalistica, dalle quali potere risalire alle epoche di utilizzo, all’uso che si è fatto da parte dei vari frequentatori ed alle particolari condizioni ambientali di una determinata area. Insomma, da sempre questi “monumenti” hanno rappresentato un intrecciato motivo di studio storico ed anche geologico dell’intrigante prodigio dell’erosione naturale, dell’azione modellante del vento e della natura geologica del terreno, o resti di antichi e maestose sculture intagliate nella roccia, frutto dell’opera di popolazioni preistoriche di cui si è persa ogni traccia, nel lento ed incessante scorrere del tempo. Insomma, nessun mistero ma solo la spiritualità che solo un’ambiente suggestivo e incontaminato può elargire ai suoi visitatori.
ALLA SCOPERTA DEI TESORI ARCHEOLOGICI DELLA VALLE DEL FIUME ALCANTARA
(di E. Crimi)
Il misterioso simbolo fallico della fertilita’ in roccia megalitica arenaria, denominata “Menhir”, situato nel bassipiano di Orgale nei pressi di Castiglione di Sicilia a pochi passi dalla sponda sinistra del fiume Alcantara. Su questo straordinario monumento rupestre, sappiamo ben poco, sia sul senso o funzione della sua esistenza e ancor meno notizie abbiamo riguardo i sui creatori. La ricerca archeologica lungo il corso del fiume Alcantara nel corso degli anni passati, non può considerarsi abbastanza sistematica, tanto da potere considerarla completa. Lo studio del passato è stato sempre affidato all’iniziativa individuale di pochi al punto che ancora oggi ci troviamo di fronte a poche luci e molte ombre che avvolgono questo eccezionale settore. Gli approfondimenti sono stati modesti e frammentari, ma sono tanti gli indicatori che ci pervengono dal passato che dovremmo attentamente decodificare per comprendere, sviluppare ed esaltare, il modo di vivere dei nostri predecessori. Le ipotesi riguardo questo grosso blocco di pietra arenaria sono diverse, come diverse sono le discordanze anche tra gli studiosi, tuttavia, molti di essi sostengono che si tratta di manufatti riconducibili a consuetudini religiose con riti collegati alla simbologia fallica propiziatoria della fertilità.
Queste maestose sculture, hanno sempre attratto l’interesse di ricercatori e la curiosità di semplici escursionisti, impegnati nella ricerca continua di testimonianze del passato, di natura antropologica e naturalistica, dalle quali potere risalire alle epoche di utilizzo, all’uso che si è fatto da parte dei vari frequentatori ed alle particolari condizioni ambientali di una determinata area. Insomma, da sempre questi “monumenti” hanno rappresentato un intrecciato motivo di studio storico ed anche geologico dell’intrigante prodigio dell’erosione naturale, dell’azione modellante del vento e della natura geologica del terreno, o resti di antichi e maestose sculture intagliate nella roccia, frutto dell’opera di popolazioni preistoriche di cui si è persa ogni traccia, nel lento ed incessante scorrere del tempo. Insomma, nessun mistero ma solo la spiritualità che solo un’ambiente suggestivo e incontaminato può elargire ai suoi visitatori.
LA GROTTA DEI LAMPONI – Castiglione di sicilia
(di E. Crimi)
……… è una importante galleria di scorrimento lavico rinvenuta nel 1965 all’interno delle centenarie lave dei dammusi, in territorio di Castiglione di Sicilia. Le “Lave dei dammusi” sono state originate da una straordinaria colata che interessò la zona a partire dal 1614 e, ad alterne fasi, sino al 1624. Lave dei Dammusi, ovvero, dall’arabo dammus, toponimo oramai in disuso a significare entità vuote, ed accostato come confronto ai tetti delle case antiche. La particolarità di queste lave si riscontra nella loro costituzione a lastroni stratificati o, come definita, “a corde o pahoehoe ” per la conformazione di raffreddamento che ha lasciato degli ampi vuoti o spazi tra una placca e l’altra, per questo comparata ai tetti (dammusi) delle antiche case siciliane, che di solito sotto la volta esterna erano vuoti. Le lave dei dammusi (le concentrazioni più vistose presenti sull’Etna, sono appunto in territorio di Castiglione di Sicilia e Bronte, strada rurale SS. Cristo-Piano Ginestre) per le loro straordinarie peculiarità orografiche, oggi rappresentano una meta per gitanti comuni, attratti dalla particolarità delle loro forme fuori del comune, mentre rappresentano per gli studiosi una nicchia geologica di notevole interesse finalizzato alla ricerca scientifica, in quanto rivestono grande valore sia per la struttura sopra descritta che per la dovizia di caverne e gallerie di scorrimento. Le caratteristiche della “Grotta dei Lamponi” fecero subito pensare ad una interessante scoperta, portata alla luce nel 1965 ad opera di volontari del C.A.I. di Linguaglossa, i quali diedero alla grotta il nome delle piantine di lamponi vegetanti in uno dei suoi ingressi. La genesi di queste grotte vulcaniche segue un processo evolutivo che, come sappiamo, ha origine dalle colate laviche, le quali scorrendo lungo le pendici del vulcano, alle volte si creano dei percorsi per così dire paralleli. La parte esterna, in quanto a contatto con l’atmosfera, tende a raffreddarsi e a solidificarsi prima, mentre il flusso lavico all’interno della colata mantiene il suo calore e continua a scorrere come in una galleria, sino a quando viene alimentato. Quando la colata incomincia ad estinguersi e pertanto il flusso non riceve più propulsione, la condotta si svuota e lascia il posto ad una grotta di scorrimento lavico. A circa 1745 metri di quota, la sua lunghezza di circa 700 metri e il suo dislivello di circa 90 metri, la rendono di grande attrazione e tra le più importanti grotte presenti sul territorio di Castiglione di Sicilia. La grotta dei lamponi si snoda in un’unica e ampia galleria, larga circa 7 metri, avente un’altezza media di circa 3 metri al soffitto, il quale in alcuni punti si presenta crollato ed in altri ricco di stalattiti e scorie laviche o denti di pescecane, come vengono chiamati localmente. Il pavimento, ostruito in alcuni punti da detriti lavici provenienti da cedimenti della volta, testimonia ancora oggi, l’imponente passaggio del magma molto caldo e fluido. Punto d’arrivo di numerosi escursionisti per la sua facilità di individuazione, in quanto adiacente ad una pista forestale, la grotta dei lamponi può essere usata come punto di partenza per l’esplorazione di altre conosciutissime cavità, poste a non molta distanza, sempre nelle lave del 1614-24, su territorio di Castiglione di Sicilia.
IL RIFUGIO DI TIMPA ROSSA – Castiglione di Sicilia
(di E. Crimi)
…. ….nella incontaminata faggeta etnea di Timpa Rossa, in territorio di Castiglione di Sicilia, la mano dell’uomo, complice un ambiente ancora incontaminato, ha saputo realizzare un manufatto di rara bellezza. Incastonato in un pianoro naturale, troviamo il “Rifugio di Timpa Rossa”, frequentato da tantissimi escursionisti che trovano in esso un punto di riferimento per le escursioni di alta quota che portano verso la cima del vulcano più alto d’Europa. Questo rifugio, per la sua posizione geografica, per la pregevole fattura della struttura, per la sua ubicazione all’interno di una zona boschiva ben conservata, ma anche per le sensazioni intime ed indescrivibili che offre al gitante, può senza dubbio definirsi come massima espressione del connubio natura – uomo. (Dal libro : “Alla scoperta del territorio di Castiglione di Sicilia” – (Enzo Crimi 2001). Ci sono mille motivi per salire fin lassù, per scappare dalla vita caotica e frenetica della città, in cerca di scenari naturali e autentici … e quando siete lassù a passare la notte, sappiate che è un rifugio semplice e spartano, non cercate le comodità cittadine, non siate troppo pigri da non alzarvi e perdere così un’alba che dopo aver innondato di luce Monte Nero, s’infila quasi di striscio tra gli alberi di faggio, la sera non siate troppo stanchi e affamati da restare seduti dentro a tavola ma godetevi il calar del sole e il dolce passaggio dal giorno alla notte. Se incontrate il cattivo tempo, non perdetevi il temporale montano estivo, fatto di un composto caos, tra rumori assordanti e mille luci, per poi come d’incanto veder apparire il sole e poter respirare quell’aria fresca di “Madre terra” che vi laverà dentro… Anche solo per uno di questi momenti vale la pena di salire al rifugio di Timpa Rossa. Dopo aver vissuto queste sensazioni, tornerete un po’ più ricchi a valle, pensando che in fondo tutti salgono su una montagna e poi, dopo poco o magari dopo giorni, quando sarete scesi, vi verrà la voglia di tornare ancora lassù, per scoprire un altro rifugio, così da rubare ancora alla montagna un nuovo e indimenticabile ricordo!
IL RIFUGIO FORESTALE DI SANTA MARIA DEL BOSCO SUI MONTI NEBRODI
(di E. Crimi)
Oggi visiteremo una perla dei Nebrodi….eppure, chi ama viaggiare senza fretta e in punta di piedi, dotato solamente di animo contemplativo, all’interno del territorio di Randazzo, trova il giusto equilibrio tra rumori e silenzi, tra inquietudine e distensione, emozioni uniche che solo da queste parti la natura può elargire a chi di essa ne ama le sue essenze più pure. Raggiungere il rifugio di Santa Maria del bosco è alquanto semplice. Questo percorso inizia dal centro abitato di Randazzo e attraverso l’estrema propaggine sud-orientale dei Nebrodi, si spinge sino alle sorgenti del fiume Alcantara, in pieno territorio di Floresta. Lasciando il centro abitato di Randazzo attraverso l’antica porta Aragonese, si imbocca la SS. 116 (Randazzo – Capo d’Orlando), da qui, dopo avere oltrepassato il suggestivo ponte in pietra lavica sul fiume Alcantara, a circa 700 metri si svolta a sinistra e ci si immette su un percorso dal quale non ci si può esimere nel restare straordinariamente colpiti dalla visione del paese di Randazzo che, “difeso” dai balzi lavici e dalle sue mura medievali, si specchia nelle acque del fiume Alcantara e offre al visitatore l’imponente visione dell’Etna che dall’alto della sua possanza sta a guardare. Il percorso risale come per rincorrere a ritroso il corso del fiume, che inizia a scorrere ancora molto più a monte. Dopo avere potuto godere di un paesaggio semplice ma ricco di attrattiva naturalistica, si giunge all’ingresso dell’area demaniale di Santa Maria dei Bosco. Ancora qualche chilometro e ci si potrà dissetare con acqua di sorgente presso l’area attrezzata omonima gestita dall’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana. Qui ci si sofferma piacevolmente in un’antica masseria, corredata da tavoli, panche, piani di cottura e persino servizi igienici e qualche gioco per bambini, che rendono la sosta, anche di qualche giorno, ancora più confortevole. Una piccola stanza della masseria, è stata ristrutturata e adibità a luogo di culto religioso, per come probabilmente lo era in origine e in un’altra stanza, è stato allestito un piccolo museo dell’arte e tradizione contadina. Insomma, ne vale davvero la pena visitarlo. Questo luogo, consentito al transito delle autovetture soltanto previa autorizzazione dell’autorità forestale, si presta molto per l’escursionismo e il pernottamento di gruppi scouts e scolaresche, numerosissimi nel periodo estivo e soprattutto in primavera.