Alcantara

 

 

 

 

 

LA VALLE  DELL’ALCANTARA

C’era una volta, e ancora c’è, il fiume Alcantara: il “Fiume” per eccellenza così definito dagli antichi arabi, ha raffigurato, nel corso dei millenni, uno straordinario scenario naturale, dove l’uomo, sin dalla sua prima comparsa nella zona, ha ambientato le sue vicende umane e storiche.

Il fiume Alcantara, inizia a scorrere dal versante meridionale dei monti Nebrodi a pochi chilometri da Floresta .

Ai suoi 48 Km. di percorso fa da cornice un’ambiente tipicamente fluviale, dove non mancano le singolari fiumare, caratterizzate dalla presenza di materiale da trasporto sedimentario: ciottoli,  ghiaie e sabbie.

L’Alcantara che ha un bacino di circa 573 Kmq, e che per importanza è da considerare il secondo fiume dell’isola, dopo il Simeto, presenta i classici connotati del torrente che scorre nel periodo invernale e resta all’asciutto in estate.

Il clima di questo bacino può considerarsi arido, con estati molto secche e inverni miti.

Le sue acque, a volte quiete e a volte tumultuose nella discesa verso il mare Jonio, bagnano  le estreme pendici settentrionali dell’Etna; nel loro percorso esse creano delle “finestre[1]” paesaggistiche del tutto rare e diventano essenziali per l’incremento del reddito di tantissime famiglie della valle, che basano la loro economia sulle coltivazioni di agrumi, ortaggi e frutteti, dislocati sulle sponde coltivabili di questo fiume.

                Il controllo e la conservazione degli inestimabili valori ambientali che può esprimere un’area territoriale, vengono conseguiti con relativa facilità all’interno di settori ricadenti nei demani regionali o comunali, questo grazie al controllo capillare del territorio ad opera del Corpo Forestale addetto alla sorveglianza, in quanto aree non molto antropizzate, chiuse al traffico veicolare e orograficamente di agevole perlustrazione.

Diventa invece alquanto complicato mantenere la protezione di quegli elementi naturali, quando viene istituita un’area protetta all’interno di un territorio fortemente antropizzato, sottratto agli interventi tradizionali che possono essere di natura agro-silvo-pastorale e che si mescolano con esigenze turistiche e ricreative che, se non idoneamente controllate, possono dimostrarsi dannosi per l’ambiente.

Questo è il contesto primario della originaria istituzione della Riserva Naturale del fiume Alcantara, (decreto n° 970 del 10.06.91, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana, n° 49 del 19.10.91). Di seguito, con la Legge Regionale 3.5.2001, n° 6, art. 129, la Riserva dell’Alcantara viene ampliata territorialmente, tanto da assumere la denominazione di Ente Parco Fluviale dell’Alcantara. Questo territorio di cui ci stiamo occupando, per i suoi valori di importanza naturalistica, estetica e scientifica, viene protetto, sottratto al libero intervento dell’uomo e posto sotto tutela dai poteri pubblici, al fine di garantire la conservazione e protezione delle varie formazioni vegetali, importantissime per il miglioramento del clima, per la protezione del suolo, dell’acqua e della fauna ivi esistente, al fine di renderne possibile l’esistenza.

 Tutto questo, però dovrà essere ancora regolato con appositi disposizioni legislative. L’auspicio è che tali direttive avvengano con il libero consenso delle popolazioni locali interessate, prestando molta attenzione affinchè i potenziali benefici derivanti da questa istituzione, possano essere acquisiti anche da chi vive nell’area, attraverso un turismo culturale e rispettoso dell’ambiente. Purtroppo, così come accaduto per altre aree protette, a volte questi propositi rimangono soltanto nelle  nobili intenzioni.

La presenza vegetazionale  diventa alquanto complicata in particolare in alcuni tratti a causa della violenza delle acque. Tuttavia, la corrente rapida rende le acque molto ossigenate, così da favorire tutta una serie di specie vegetali che non potrebbero altrimenti vivere  in ambienti diversi, quindi hanno contribuito a specializzare e selezionare la flora ed anche la fauna presente. In particolare negli slarghi di fiumara, i substrati geologici favoriscono l’insediamento di particolari tipi di vegetazione ripale. Sono presenti:  il frassino (fraxinus), un albero a foglie caduche che cresce spontaneo nei luoghi umidi. Può raggiungere un’altezza di 35 metri. Il legno, duro e flessibile, veniva usato per la realizzazione di utensili e attrezzi vari. Le foglie vengono ancor oggi utilizzate per foraggio e per preparare un tonico. Secondo gli antichi romani, aveva facoltà di tenere lontani i serpenti, mentre era credenza arcaica norvegese che questa pianta avesse dato origine alla terra; il comunissimo oleandro (Nerium oleander), arbusto spontaneo tipico delle regioni calde e purtroppo velenoso sia nelle foglie che nei fiori presenti per tutto l’anno, dai diversi colori a seconda della varietà, dai rami sottili, può arrivare ad un’altezza di 5 metri; la ginestra comune (Spartium junceum) che si può facilmente riconoscere dal forte profumo che emana nel periodo estivo. Le formazioni di ginestre fiorite,  formano delle macchie gialle che rendono alla vista una piacevole sensazione cromatica.

            Nell’area vi si trova anche il platano (Platanus orientalis), il quale sarebbe originario dei Balcani e dell’Asia minore. Si racconta che all’ombra delle sue fronde, Platone si cimentava con la sua filosofia e Ippocrate teneva le sue lezioni;   il salice di Gussone (Salix gussonei) e il salice bianco (salix alba), che sono due piante che prediligono le fiumare e i terreni innondati dalle acque. Caratteristiche sono le  leggerissime foglie grigio-argentato. Le loro radici sono utilissime al mantenimento dei pendii franosi La riproduzione di queste piante, avviene non di rado per talea; l’olmo minore (ulmus minor) che è un albero che può arrivare sino ai 30 metri e che ha le foglie doppiamente dentate ai margini, lucide dalla parte superiore e acuminate in punta. Nel periodo della fioritura si possono osservare i fiori sistemati in fascetti purpurei e quasi senza peduncolo. Il legno di questa pianta viene utilizzato per ardere e per la realizzazione di graticciate, in quanto resistente all’acqua; il pioppo (populus nigra) che è un’altra tipica pianta spontanea delle zone umide ma anche utilizzata per ornamento di strade e giardini, le foglie si presentano acuminate e dentellate ai margini; l’ontano comune (alnus glutinosa), riconoscibile dal suo maestoso portamento, che predilige i terreni umidi e tollera molto bene il freddo. Le foglie sono rotondeggianti e vischiose. Un’altra tipica pianta di questo stupendo paesaggio è la canna (Arundo donax) che colpisce il visitatore per le sue graziose spighe di fiori riunite in lunghe pannocchie. Infine, si riscontra la presenza diffusa di specie quercine come la roverella  e persino la farnia. Lungo il corso del fiume Alcantara crescono tanti altri tipi di vegetazione igròfita che si abbinano ai muschi e alla vegetazione erbacea alquanto ricca.

Molto diffusa è la presenza del cardo cretico (cirsium creticu), della menta (mentha suaevolens), della canapa acquatica (eupatorium cannabinum), del sedano d’acqua (Apium nodiflorum), della veronica acquatica (veronica anagallis-acquatica) e di tantissime altre specie.

La vegetazione diventa alquanto sporadica dove il fiume si  insinua  tra le rocce basaltiche, che, a causa dell’erosione delle acque e dei processi evolutivi naturali, nel corso dei millenni hanno profondamente contrassegnato l’orografia e il panorama, creando gole e cascate.

 Il substrato geologico di formazione del letto del fiume in origine era costituito da rocce sedimentarie di varie ere geologiche: quaternaria, cenozoica e mesozoica. Oggi l’Alcantara, nel tratto di cui ci stiamo occupando e sino alla foce, è caratterizzato da banchi basaltici di origine vulcanica, erroneamente attribuiti, sino a pochi anni fa, ad un’unica eruzione originata da un vulcano eccentrico[2], situato a nord di Mojo Alcantara.

Recenti studi,  effettuati dalle università di Catania e Palermo, hanno accertato che non vi è alcuna connessione e continuità tra il fiume Alcantara e la colata del vulcanetto di Mojo Alcantara.

Verosimilmente, tutto ebbe inizio circa 150.000 - 200.000 anni fa, quando probabilmente la Sicilia era abitata dall’Uomo di Neanderthal. Una tremenda eruzione vulcanica  ebbe inizio da una zona boscosa a nord dell’Etna, a circa 800 metri di quota, nella località che, probabilmente, oggi possiamo identificare  nel Monte Dolce, a poca distanza dalla frazione di Solicchiata. E’ possibile che in diversi tempi, ma con le medesime modalità,  un fiume di fuoco scaturì dalle viscere della terra, distruggendo con veemenza quanto si trovava sul suo passaggio, e scese con grande furia verso valle e, continuando nella sua sinistra corsa, dopo circa 5 chilometri si versò nell’alveo dell’antico fiume Alcantara. Le copiosissime colate, particolarmente fluide, coprirono il fiume. A contatto con l’acqua si raffreddarono e si raggrinzarono più lentamente, si contrassero e crearono quelle caratteristiche colonne prismatiche che ancora oggi testimoniano la potenza di questa tremenda colata.

Tanta era la virulenza di scorrimento dovuta all’alta temperatura, che con grande impeto fiumi di lava seguirono tutto il percorso dell’Alcantara segnandolo perennemente e scesero sino al mare, dove formarono un promontorio magmatico, oggi chiamato Capo Schisò.

Ovviamente tale ipotesi, seppur ben supportata da elementi e studi scientifici eseguiti sul posto e sulla struttura lavica, non può considerarsi certa, a causa del tantissimo tempo trascorso.

Il fiume scorre e si insinua nella roccia basaltica creando delle figure veramente particolari. La formazione di vere e proprie “urne”[3], di profonde gole, di strapiombi, di prismi basaltici, di cascatelle e di forme contorte che nella loro staticità mutevole rappresentano un’era arcaica, ancora oggi testimonia quando con questo territorio la natura sia stata benevola.

Conosciutissime sono le “Gole dell’Alcantara”, meta di tantissimi escursionisti italiani e stranieri, i quali restano veramente affascinati da questa straordinaria opera architettonica che soltanto la natura ha saputo progettare.

Il fiume, nel corso dei millenni, ha continuato la sua perenne discesa verso il mare, ha scavato in pochi metri di larghezza  il suo stretto alveo sfidando la grande colata ed ha consumato per almeno 40 metri di profondità quel poderoso colonnato lavico,  che pone la sua conformazione a simbolo di grandezza della natura stessa.

Il lavoro di erosione della colata ad opera dell’acqua, nel suo scorrere plurimillennario, ha reso il percorso del fiume in alcuni tratti, quasi una meraviglia della natura.

Certamente non può essere rappresentata in poche righe la meraviglia del luogo e crediamo che ognuno di tutti noi dovrebbe visitarlo almeno una volta nella vita, così da rendersi conto quanto non bastino le parole a descriverlo.

L’attrattiva turistica delle “Gole dell’Alcantara”, in atto è prerogativa unica del versante di Messina malgrado ci si renda conto, con ampio e pressoché univoco convincimento, che le caratteristiche orografiche dell’area possono considerarsi di grande suggestione e ricche di fascino anche dalla parte di Catania e cioè nel territorio di Castiglione di Sicilia, questo dovuto in particolare all’integrità orovegetazionale che esse presentano.

Ovviamente non è compito di questo scritto manifestare una visione che può sembrare campanilistica che riguardi la collocazione geografica, la destinazione di utilizzo, il circuito turistico o l’orientamento dell’ente territoriale di gestione[4], elementi che di solito concorrono alla valorizzazione di un particolare ambiente naturale.

Questo percorso virtuale è ostruito da varie componenti di natura burocratica, politica e sopratutto naturalistica. Risolte e superate queste problematiche, e’  auspicabile che si esterni un atteggiamento finalizzato al riconoscimento, alla promozione  e alla fruizione del sito che non può essere considerato come parziale tempio della natura o privilegio di pochi.

 Il fiume Alcantara è sempre stato crocevia delle tantissime civiltà e culture che sin dai tempi più remoti, si sono succedute nella nostra isola.

Esso è sempre stato la via maestra per tutti i popoli che per svariati motivi, nel corso dei secoli, si sono voluti spingere all’interno della Sicilia, addirittura sino alla parte occidentale e a Palermo, rivestendo un’importanza di grande rilievo  per il fattore commerciale, ma anche per gli straordinari eventi che si sono succeduti  nella nostra isola sin dall’antichità più remota.

La Riserva Naturale del fiume Alcantara, oltre ad offrire al visitatore numerosissimi spunti di carattere naturalistico e paesaggistico, custodisce da millenni rare testimonianze archeoantropologiche presenti in alcuni siti che arricchiscono il territorio di storia antica che ci proviene dal lontano paleolitico, quando probabilmente nuclei umani si stabilirono sulle sponde del fiume. Oggi la ricerca paleoantropologica è molto attiva ed in continua evoluzione. I ritrovamenti di questi ultimi tempi dimostrano che la presenza sulla terra di un nostro progenitore risale a circa 4 - 6 milioni di anni fa.

Il materiale archeologico preistorico, rinvenuto sul territorio isolano a partire dai primi anni del 1700, non può ritenersi sufficiente per stabilire con certezza la presenza dell’antenato dell’Homo Sapiens in Sicilia. E’ invece probabile,  come asseriscono alcuni studiosi, che l’uomo arrivò sulle nostre terre intorno ad un milione di anni fa, quando aveva già invaso le zone temperate dell’Europa, anche se lo studio di particolari elementi fa pensare che almeno durante il paleolitico inferiore (1.000.000 di anni fa), la terra siciliana avrebbe potuto essere collegata via terra con la costa africana, pertanto tale flusso potrebbe essere arrivato direttamente dall’Africa.

In quei tempi l’uomo abitava  sia nelle grotte che all’aperto, in prossimità dei corsi d’acqua su depositi alluvionali.

Per questo,  può ritenersi verosimile che sulle sponde dell’Alcantara vi siano stati dei piccoli insediamenti arcaici dai limiti ben definiti. In seguito con la formazione dell’edificio vulcanico e il massiccio riversamento delle lave nell’Alcantara, questi nostri antichi progenitori, si spostarono più a monte e, suddivisi in piccole tribù, andarono ad abitare alcune zone con particolari caratteristiche orografiche come, ad esempio i siti in territorio del comune di Castiglione di Sicilia e precisamente il complesso arenario di Pietramarina, che emerge da antiche colate laviche, l’altipiano di Orgale, la rocca di Santa Maria della Scala, le contrade di Balsamà e Chiappazza, dove la presenza di alcuni simboli preistorici si fonde e confonde con misteriose “truvature” locali che parlano di tesori nascosti.

L’osservazione di questi siti ci riporta indietro nel tempo per parecchie migliaia di anni e ci cala nello spaccato antropologico del paleolitico inferiore, in piena età della pietra. Allora l’attrezzatura era composta soltanto da ciottoli opportunamente sagomati e schegge di pietra che servivano da armi. Le grotte erano il solo rifugio contro tutto ciò che la natura offriva di sgradevole o temibile.

Su queste aree i nostri antichi avi trascorrevano la loro vita comunitaria, cacciavano e svolgevano i loro riti tribali, così come ci testimoniano ancora oggi i resti di costruzioni sepolcrali nella pietra, singoli o collettivi e monumenti megalitici costituiti da pilastri di pietra  rappresentanti raffigurazioni falliche o simboli religioso.

Con il passare del tempo si incominciò a formare nella comunità un’organizzazione sociale di tipo patriarcale, composta da poche famiglie guidate ognuna dall’individuo più anziano che esercitava il comando e rappresentava la comunità nel consiglio generale che includeva altre famiglie. Il capo famiglia veniva onorato sino alla morte, quando veniva sepolto singolarmente con alcuni suoi oggetti particolari. Testimonianza di questa circostanza è la scoperta e lo studio della grotta funeraria rinvenuta in contrada Marca, agro di Castiglione di Sicilia, dove oltre a vari resti di ossa umane, è stato scoperto anche uno scheletro seppellito singolarmente con alcuni oggetti appartenenti presumibilmente al defunto. Stranamente oggi questa storica testimonianza di cultura popolare arcaica è chiusa al pubblico, in attesa di momenti migliori.

Ovviamente la descrizione che stiamo tentando di ricostruire è immaginaria, anche se verosimile. Non ci sono prove documentabili di quanto abbiamo affermato. Tuttavia, questi reperti che ci ha tralasciato il tempo stimolano alla riflessione e ci spingono a fare delle deduzioni abbastanza valide e ben argomentate. Essi vanno visti come intima essenza del territorio stesso, che ebberoi origine dall’arcaica cultura preistorica  dei nostri progenitori.

Antichi greci, latini, bizantini, arabi, normanni, svevi e angioini, aragonesi e borboni, tutti hanno conosciuto il fiume Alcantara, le bellezze delle sue gole, la fertilità delle sue colline degradanti e ricche di vita agreste. Tutti ci hanno lasciato, quali segni della loro presenza, incontrovertibili prove di grande rilievo culturale: intere città sepolte come il sito greco della contrada Acquafredda, templi religiosi come la famosa Cuba di contrada Santa Domenica, la quale per  la sua importanza culturale ed ambientale, fu dichiarata monumento nazionale il 31.8.1909.

La Cuba è una chiesa bizantina costruita tra l’VIII e l’XI secolo, di grande pregio archittetonico, riveste grande rilievo nel panorama archeologico dell’area a testimonianza della raffinata arte bizantina, introdotta in Sicilia dai numerosi monaci bizantini, i quali perseguitati nella loro terra natìa orientale da Costantino V,  furono costretti a cercare riparo in occidente.

La valle del fiume Alcantara assorbì una gran parte di questo massiccio flusso emigratorio proveniente dalle terre di Bisanzio[5], che evidentemente portò in quest’area, come in altri luoghi dell’isola, i segni dell’arte cristiana, fiorita a Bisanzio verso il IV - V secolo, e diffusa in tutti gli altri territori dell’impero romano, sino al XV secolo, unitamente ad altre manifestazioni di arte quali la lavorazione della seta, dell’oro, del legno e della ceramica.

Per scoprire l’interesse antropologico e culturale di queste terre, certamente non bisogna andare troppo a ritroso nel tempo.

I reperti che oggi man mano vengono alla luce e che possiamo ammirare nella valle dell’Alcantara, ci fanno capire che le straodinarie civiltà del passato più remoto, hanno tracciato come una via maestra che periodicamente nel tempo, viene percorsa ed arricchita da nuovi patrimoni intellettuali e concreti, sino ai giorni nostri.

La conoscenza di queste erudizioni culturali, oltre a rendere lustro al territorio ed alle genti che ne usufruiscono, ci pone delle grosse responsabilità verso i nostri predecessori. A volte siamo chiamati a scoprire, capire e valorizzare quanto essi ci hanno tramandato nel corso dei secoli. Purtroppo non sempre rispondiamo a dovere, lasciando disperdere nell’indifferenza, quanto di più prezioso essi hanno saputo costruire con le loro capacità per tutti noi.

Al caso viene in mente un presidio culturale alquanto importante, ridotto purtroppo all’abbandono. Infatti, in località S.Anna - Purcaria, quasi al confine territoriale con i comuni di Randazzo e Castiglione di Sicilia,  si trova una cappella votiva in stato di incuria, adornata da pregevoli affreschi che risalirebbero al 2° - 700, raffiguranti la Madonna del Lume, San Gerardo, San Giuseppe, San Antonio Abate e San Vincenzo Ferreri. Al centro della stanza, è situato un modesto altare con nicchia vuota, dove probabilmente era posizionato un quadro prima di essere stato trafugato. Sarebbe alquanto utile per la collettività, restaurare il tutto e renderlo nuovamente fruibile per tutti.

La dimostrazione nel comprensorio del fiume Alcantara  del passaggio di tantissime civiltà avrebbe dovuto quantomeno fare riflettere sulla possibilità di potere sfruttare archeologicamente queste potenziali scoperte.

La ricerca archeologica lungo il corso del fiume Alcantara ed in particolare nel territorio di Castiglione di Sicilia e Randazzo, nel corso degli anni passati, non può considerarsi abbastanza sistematica, tanto da potere considerarla completa. Lo studio del passato è stato sempre affidato all’iniziativa individuale di pochi al punto che ancora oggi ci troviamo di fronte a poche luci e molte ombre che avvolgono questo eccezionale settore.

Gli approfondimenti sono stati modesti e frammentari. Per le comunità presenti nella valle dell’Alcantara,  per scelta e vocazione, oggi, alla ricerca di nuovi sbocchi occupazionali, non può essere possibile avanzare delle serie ipotesi di sviluppo nel settore turistico senza un’accurata e programmata valorizzazione del proprio patrimonio storico-artistico e senza un forte impegno finalizzato allo studio delle origini, delle tradizioni popolari, delle testimonianze culturali e ambientali, così da poter inserirsi nelle nuove prospettive turistico-culturali del circuito settoriale isolano.


[1] Scorci  visivi di rilevante valore estetico

[2] Il vulcanetto di Mojo Alcantara, emerso direttamente dal terreno sedimentario, non avente alcuna connessione con l’Etna.La fuoriuscita di alve è modesta.

[3] Formazione di vasche di acqua, dove nel periodo estivo viene praticato il nuoto.

[4] Comune di Castiglione di Sicilia

[5] A partire dal 330 d.C. fù chiamata Costantinopoli e di seguito nel 1929 Istambul.