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L’ALCANTARA E LE SUE GOLE

                                                                                                                        Tratto da  “Al Quàntarah”

                                                                                                                la valle incantata

                                                                                                                                                  di  Vincenzo CRIMI 

 

 

Questo scritto vuole tentare di descrivere un particolare tratto del fiume che interessa i comuni di Mojo Alcantara, Castiglione di Sicilia,

Francavilla di Sicilia, Motta Camastra, Graniti, Gaggi, Calatabiano, Taormina e Giardini Naxos sino alla foce. Questo comprensorio fù

interessato nel periodo preistorico da un’imponente colata lavica che dopo avere invaso il letto del fiume si riversò nel mare di Giardini

Naxos. Oggi questo lembo di territorio è diventato alquanto famoso e ben inserito nel circuito turistico siciliano.

Dopo migliaia di anni il fiume ha assunto un aspetto suggestivo perchè il potere erosivo dell’acqua ha dato origine a  veri e propri

monumenti di architettura naturale.

Sulla base di osservazioni ottenute attraverso lo studio del substrato geologico, è possibile definire che in questo territorio, la formazione

del letto del fiume  Alcantara, era costituita originariamente da rocce sedimentarie di provenienza riconducibile alle ere geologiche

quaternaria, cenozoica e mesozoica.

Dopo l’impressionante colata, la geologia di questo settore dell’Alcantara in parte ha subito una modificazione sostanziale, in particolare

dove è caratterizzato da banchi basaltici di origine vulcanica, generati appunto da un’eruzione proveniente da un cratere vulcanico

preistorico che si aprì a bassa quota sul versante nord dell’Etna.

Non abbiamo documentazione storica di quei tempi e quindi ci piacerebbe immaginare che  tutto ebbe inizio così.

La vita cadenzava i suoi tempi, l’Uomo di Cro–Magnon (Homo Sapiens Sapiens) che probabilmente circa 25.000 anni fa abitava la

nostra isola, era oramai parte integrante di questo ambiente straordinario, nel Pleistocene Superiore. Organizzava la sua esistenza durante

la giornata e la sera, attorno ai focolari e all’interno delle sue abitazioni rischiarate dalla luce delle torce.

Il mondo si avviava verso l’appuntamento con la sua storia e tutto sembrava tranquillo nella valle finchè, verosimilmente, non accadde

qualcosa di tremendo e  grandioso che lascerà un  segno perenne e monumentale sulla parte più a valle di questa regione.

Quella notte c’era nell’aria come un odore acre, gli animali  erano inquieti e nervosi, la luna sembrava oscurata e triste; eppure era lì

a guardare il tempo che scorreva. Dapprima si udì  il forte stridio del vento, poi come  il brontolio del tuono e un boato. D’un tratto

tutto si mise in movimento, il terreno incominciò a tremare violentemente e una coltre fumosa  si alzò  dal suolo pronto ad esplodere.

Gli uomini e le bestie sentirono grande scoramento e incominciarono a fuggire  senza sapere dove rifugiarsi per scampare al pericolo.

Una grande paura cosmica avvolse le loro menti corte e primitive e li rese piccoli e indifesi verso la potenza della natura. Ecco che,

ancora una volta, l’Etna, ovvero il grande signore del fuoco, persistendo nel suo straordinario percorso di formazione completa ed

ancora oggi in itinere, palesava il suo vigore e faceva calare il suo manto fiammeggiante lungo le sue pendici ricche di vita animale e

vegetale. Esso si tormentava ed urlava, il suo alito di zolfo si spandeva nell’aria acre e cupa e soffocava qualsiasi cosa si trovasse lungo il

suo cammino.

Una tremenda eruzione vulcanica  ebbe inizio da una zona boscosa a nord dell’Etna,  nella località che, probabilmente oggi possiamo

identificare nel comprensorio di Monte Dolce, a circa 800 metri di quota e a poca distanza dalla frazione di Solicchiata.

E’ possibile che in diversi tempi, ma con le medesime modalità,  un fiume di fuoco scaturì dalle viscere della terra, distruggendo con 

veemenza quanto si trovava sul suo passaggio, scese con grande furia verso valle e, continuando nella sua sinistra corsa, dopo circa 5

chilometri si versò nell’alveo dell’antico fiume Alcantara. La scena dovette essere davvero apocalittica. Il fuoco prodotto dalle

copiosissime colate e alimentato dalle rigogliose foreste, sembrava si fosse impadronito dell’intera valle. I pochi uomini e le bestie,

scampati a questo tremendo evento, cercarono riparo sulle alture circostanti.  Le lave particolarmente fluide a contatto con l’acqua si

raffreddarono molto lentamente, si raggrinzarono gradualmente, si contrassero e crearono quelle caratteristiche colonne prismatiche

a geometria polimorfa che  testimoniano la potenza di questa tremenda colata preistorica che oggi a beneficio dei numerosissimi turisti, 

offre un grande spettacolo dove la realtà sembra sfidare la  mente stessa dell’uomo.

Tanta era la virulenza di scorrimento dovuta all’alta temperatura che, con grande impeto, fiumi di lava invasero una grossa parte

del percorso dell’Alcantara, riempirono il suo letto e contrassegnandolo perennemente scesero sino al mare, dove formarono un

promontorio magmatico, oggi chiamato Capo Schisò.

Il continuo e plurimillennario defluire del fiume alla riconquista del suo spazio naturale perso in occasione dell’antica colata e l’acqua

che scorre e si insinua nella roccia basaltica erodendola, hanno creato delle figure veramente particolari.

Qui il corso del fiume diventa spumeggiante e, conquistando di sasso in sasso la sua discesa al mare, si apre la via tra le strette pareti

prismatiche, oltre le quali ci aspetta il portento della natura. In questo tratto, dove  il fiume sembra avere fretta e pare sentire il

richiamo del mare, madre natura,  interagendo in un connubio inscindibile con l’acqua e il tempo, ha saputo progettare e far sorgere,

un imponente complesso monumentale, meta di tantissimi escursionisti italiani e stranieri e  conosciuto con il nome di

“Gole dell’Alcantara”: prismi basaltici perfettamente geometrici e generati dalla contrazione e solidificazione per raffreddamento del

magma, forme contorte ma attraenti che nella loro staticità mutevole rappresentano un’era arcaica, che ancora oggi testimonia quando

con questo territorio la natura sia stata benevola.

Le sue gole e le sue anse naturali, danno figura ad un paesaggio quasi selvaggio di grande pregio e rilevanza geomorfologica.

     In questo  luogo incantevole e allo stesso tempo impenetrabile, l’acqua lentamente, ma ininterrottamente, crea delle vere e proprie

“urne” che si danno forma alle estremità di profonde gole, di cascate rumoreggianti, di strapiombi. Entrando in queste gelide acque si

riesce quasi a sentire un piacere proibito che scuote il corpo.

Nel corso dei millenni,  il fiume ha continuato la sua perenne discesa verso il mare, ha sfidato la massiccia colata scavando il suo

grembo per  disegnare  in pochi metri il suo tortuoso e stretto alveo, ha eroso per oltre 40 metri di profondità quel poderoso colonnato

lavico,  che simboleggia la grandezza della natura stessa. Con forza e rabbia, il fiume diventa prima impetuoso, poi all’improvviso la rude

forza  cede il passo ad un tranquillo corso d’acqua che quieto si trascina all’appuntamento con il mare.

L’interesse e il rispetto dell’uomo verso il fiume Alcantara è stato sempre profondo, tanto da raccontarlo persino in straordinarie

vocazioni poetiche, dove ne esalta, quasi con sacralità, le sue doti non comuni e dove emerge evidente un monito per tutti, a volere

significare che la natura è un bene indivisibile con autodifesa precaria e quindi da proteggere e salvaguardare a tutti i costi.

 

ALCANTARA

               Stancu è stu ciumi ca potta l’acqua a lu mari

ma è cuntentu picchì fa u so duviri.

 

Ma lu mari furiusu cià rispunni

Sbattennu nta la spiaggia li so unni.

 

“Picchì”!! Comu evi liggi di natura

tu ma tunnari st’acqua cu primura!!

 

“Iavi tuttu lu mernu ca ma mangiatu u quagghiu

ma lassimi fari in paci u me travagghiu”

 

Tu forsi fai finta e mancu  ti n’accorgi

Di quantu evi l’acqua ca nta terra s’arricogghi

 

E allura io cu pazienza mi mettu

e unni c’è acqua dugnu alloggio nto me lettu.

 

E cumenciu a fuiri comu un pazzu

quannu chiovi supra i munti di Rannazzu.

 

Ma non pozzu iri cu primura

Quannu arrivu a Moiu picchì è tutta pianura.

 

Comu calu sempri chiù sutta

La me strata diventa chiù brutta.

 

In epuca assai luntanu

Li sciari di l’Etna, lu me lettu si pigghianu

 

E comu u truaru cunzatu pi comu u fazzu iò

Nto nenti arrivanu amarina ri Schisò.

 

Ma cu tempu, chiddu ca era miu mu pigghiai

E tutta dda petra di basattu pianu pianu m’arrusicai.

 

Accussì nasceru i goli ca pottunu u me nomu

Di tutti muntuati a memoria d’omu.

 

Evi ddocu ca la me acqua diventa fridda assai

Picchì pruveni i l’Etna unni a nivi non manca mai.

 

E vadduni, sciammuri e ciumari,

io mi pottu cu mia finu a mari.

 

E comu arrivu nta li iaddini a ghiri iusu

Di la me acqua tanti ni fanu usu.

 

E finalmente dopu tantu pilligrinari,

arrivau u tempu di trasiri nta mari.

 

Ma chistu ca iò fazzu, ca pottu l’acqua a mari,

pi tanti è cosa assai normali,

 

e ammeci cettuni non sanu

ca stu miraculu po’ scappari i manu,

 

picchì chiddu ca la natura teni strittu cu li denti

lomu vili distruggi nto nenti.

 

 

La magnificenza naturalistica di questo lungo tratto del fiume Alcantara, certamente non può essere rappresentata in poche righe.

Ognuno di tutti noi dovrebbe visitare, almeno una volta nella vita, questi luoghi senza tempo, così da rendersi conto di persona, quanto le

 parole e gli scritti  non bastino a descriverli.

 Vincenzo CRIMI