La natura si può ammirare maggiormente nelle cose più piccole
Querce secolari
LE QUERCE CENTENARIE DI MONTE EGITTO DI BRONTE
(di E. Crimi)
Il bosco incantato di Monte Egitto, un luogo davvero fatato nel quale prendono forma i sogni. Tra una folta pineta, a circa 1600 metri di quota slm, all’interno del millenario vulcano spento di Monte Egitto, in territorio di Bronte, esistono alcune maestose querce della specie “Quercus pubescens”, definite “Grandi patriarchi” della vegetazione naturale presente su tutto il territorio etneo e non solo, dall’età vetusta di oltre 500 anni. La determinazione delle Querce, è spesso resa difficile dalla presenza di numerosissime specie e individui ibridi che, malgrado fra di essi non esistano delle vere e proprie separazioni genetiche e di carattere morfologico, riducono la conoscenza delle singole varietà. Queste diversificazioni diventano molto attenuate quando più specie vivono a contatto diretto. Robusta, possente e longeva, la quercia simboleggia la forza e la saggezza sin dai tempi greco-romani.
Considerata da molti popoli arcaici come la prima pianta a fare la sua apparizione sulla terra, la quercia è la pianta mediterranea per eccellenza, predilige i luoghi molto luminosi e vegeta sui terreni di qualsiasi natura, anche se predilige quelli calcarei. Il tronco è robusto e la chioma densa e irregolare, i rami giovani sono coperti da un feltro lanuginoso biancastro. La corteccia è bruno scuro, fratturata in placche isodiametriche. Le foglie, non molto grandi, hanno un picciuolo breve, la loblatura profonda ed acuta, sono oblanceolate, chiare-tomentose dalla parte inferiore e verdi scure dalla parte superiore. Evidenziano una leggera peluria quando sono giovani, lisce e lucide appena raggiungono le dimensioni definitive. La cupula è a squame lanceolate. Il legno di roverella viene utilizzato per ardere e trasformato in carbone vegetale.
Si narra che questi alberi monumentali, sembra siano dimora di comunità fatate, e che piccoli esseri magici difendono strenuamente la loro secolare esistenza dagli attacchi dell’uomo e del tempo. Queste creature dalle bizzarre forme, che da sempre hanno popolato la fantasia ed alimentato le leggende, ora entrano attivamente nel mondo irreale di Monte Egitto, rendendo questo luogo, sede privilegiata di incontri arcani ed apparizioni in cui paure, incertezze, immaginazione, sanno di incanto e di meraviglia. Pare sia solo questione di sensibilità, ed ecco che d’improvviso la loro presenza si materializza e smaterializza in pochi istanti. Alcuni escursionisti giurano di aver visto questi esseri magici e forse anche, orchi e streghe, aggirarsi in questo luogo di presunti incantesimi e sortilegi, sito del mistero e delle potenze divine, dove viene approfondito il rapporto storico tra uomo e natura coniugando storia, tradizioni, fantasia e scienza. Questi alberi monumentali, che incutono, per dimensione e vetustà, rispetto e meraviglia, sono anche facile oggetto di leggende o di aneddoti, raramente veritieri, perché quì tutto sembra incantato e l’ambiente è ideale per trasformare le leggende in realtà. Forse si è originato tra queste querce il mito di Giasone e il “Vello d’oro”.
Insomma, un itinerario tra il fantastico e l’ecologico, in un remoto cratere spento dell’Etna occidentale, a cui fanno da cornice immense colate laviche di diverse epoche, anfratti e grotte oramai vacui, che offrirono riparo alle belve, ai primi uomini preistorici, ai contadini, armenti e pastori dei nostri tempi. Il confine tra cultura, scienza, fantasia, reale ed immaginario è uno spazio che, ricollegandosi alla tradizione del mondo dell’immaginario, potremmo definire come “Mondo di Mezzo” dei film fantastici, è quello spazio che può costantemente cogliere l’intelligenza, unica capace di trasformare ciò che è invisibile alla cultura, in cose reali e riferimenti certi. Un luogo incontaminato, preservato, che nasconde un mistero salutare e benefico che si intreccia con il mito del grande Signore del fuoco: l’Etna. In verità, chi ha la fortuna di passeggiare tra queste monumentali piante con i sensi desti e l’anima ricettiva alla contemplazione, può percepisce la potenza magica di questa straordinaria vegetazione secolare, può cogliere la magia della luce che filtra tra gli alberi, il mormorio del vento, il richiamo degli animali, il canto degli uccelli ed esclama come il poeta Esiodo: “Certamente questo luogo è sacro”.
Si, questo luogo è davvero sacro e popolato da molte forme di vita, piante ed animali, che nell’interazione con la cultura umana e gli occhi ascetici, hanno anche contribuito a comporre nell’immaginario collettivo, la parvenza di molti esseri fatati. Nella condizione umana reale questi alberi ultra centenari di querce, forse conosciuti dall’uomo ancora prima della scoperta del Nuovo Continente Americano, sono solo un’entità tangibile che per la loro età potrebbero raccontare la storia antica e recente di questo vasto comprensorio e i doviziosi intrecci con le popolazioni locali. Essi, dal solo fatto di essere stati, per longevità, muti testimoni di secoli di storia, sono testimoni solenni di tutti gli eventi ai quali sono sopravvissuti nel corso del tempo, al passaggio di tanti uomini, culture e civiltà che hanno contraddistinto in passato queste terre, dove vivono ancora.
Questi alberi assumono una grande importanza anche come habitat, dando rifugio a moltissime specie di insetti, di uccelli e anche di mammiferi. La presenza di queste piante secolari aumenta quindi la diversità di questo ambiente e conseguentemente il numero di specie animali e vegetali presenti in questo territorio, aumenta complessivamente quella che attualmente viene definita con il termine “biodiversità”. Non abbiamo notizie storiche certe riguardo l’origine e la gestione che hanno consentito la grande longevità di queste piante secolari presenti in questo comprensorio.
Le poche frammentarie e verosimili informazioni, che pur hanno una base di veridicità, sono state ricavate da notizie e racconti che ci hanno lasciato gli anziani, storie e ipotesi che a loro volta hanno sentito da altri anziani, che nel corso dei secoli si sono succeduti su queste terre. Già in pieno XVI° secolo, gli ordini monastici, che nei secoli precedenti avevano sostenuto e dato impulso alla conversione delle foreste in aree agricole, iniziarono a proteggere e potenziare le aree boschive poste sotto il loro controllo. L’Italia di allora era soltanto un’entità geografica divisa e certamente mancava del requisito dell’uniformità tra i vari Stati, tuttavia, straordinari documenti di allora, testimoniano come in questo periodo i boschi erano considerati una importante risorsa e l’indirizzo era comune ed interessava la salvaguardia del patrimonio forestale. Si stava formando una nuova concezione di bosco più attenta alla gestione ecologica. La visione del bosco era intesa come esclusiva utilità e patrimonio comune delle comunità montane che ne esercitavano un’attenta gestione finalizzata alla mera difesa del suolo dai degradi e dissesti idrogeologici.
Verosimilmente queste piante secolari si possono inserire all’interno di un contesto ben consolidato di utilizzo di queste superfici a pascolo arborato, nelle quali, dovendo necessariamente esercitare il pascolo, con grande equilibrio colturale, si tende a conservare anche gli alberi che isolati, o in gruppi, coprono più o meno il terreno in modo che il loro numero possa assicurare una copertura arborea e nello stesso tempo, non possa mai essere a detrimento della produzione erbacea da pascolo. Si pensa che queste piante erano tenute in grande considerazione per la raccolta delle ghiande da destinare agli animali domestici e per il pascolo brado; il fogliame serviva da lettiera per il bestiame e le frasche fornivano un’integrazione alimentare. Inoltre, le piante fornivano legna secca per cucinare e per il riscaldamento degli antichi ricoveri pastorali montani in pietra lavica, ancora oggi ben presenti e conservati in zona.
Questi usi, che erano ben impiegati su tutto il comprensorio etneo, testimoniano l’esistenza nel passato di un’intensa attività di pascolo estensivo che ha portato nel tempo alla formazione e allo sviluppo di una folta cotica erbosa la quale nel periodo estivo, stimolava la transumanza delle greggi, che accompagnate dai loro pastori e dai loro cani, si spostavano dalle cosiddette zone pianeggianti per recarsi all’alpeggio su questi ampi territori del comprensorio di Monte Egitto ed ancora più ad alta quota. Il pascolo intenso e non selezionato del passato, sommato alle condizioni climatiche dei luoghi, bloccava qualsiasi processo evolutivo verso formazioni vegetazionali più avanzate e uniformi. Quindi, nel corso dei secoli, si sono formate queste caratteristiche praterie etnee che in questo settore specifico erano molto ampie e diffuse, tanto che agli inizi degli anni sessanta, dopo secoli di consuetudini, si è tentato di ristudiare attraverso un’attenta regolamentazione dell’esercizio del pascolo, ed in particolare del carico di bestiame assegnato e del rimboschimento con una pineta artificiale.
Questi alberi ultracentenari, che andrebbero inserite nell’apposito Registro Nazionale delle piante Monumentali, corrispondono a precisi criteri di dimensione, rarità botanica, forma, valore paesaggistico, pregio in termini di architettura vegetale e legame con gli eventi storici, insomma, sono un patrimonio della Terra e di questo territorio, perché sono riusciti a sopravvivere a siccità e alluvioni, incendi e malattie, inquinamento e devastazione umana ed eventi naturali. In definitiva, sono veri “campioni”, esemplari geneticamente più forti che hanno vinto la gara della selezione naturale, ma che hanno bisogno di continua protezione. I grandi alberi veri patriarchi della natura, richiamano sempre più l’attenzione e impongono attente riflessioni in ordine all’opportunità o alla necessità di prevedere per essi specifiche misure volte alla tutela o a favorire la loro conservazione nel tempo. La loro straordinaria età, per certi versi, rappresenta una minaccia per la loro stessa vita che in fase così avanzata, risente il peso della grande competizione biologica che devono affrontare con le altre piante più giovani del comprensorio, ed in particolare con il pino laricio artificiale ivi impiantato, che per natura è un grande colonizzatore. Insomma, una concorrenza impari che va aiutata attraverso la predisposizione e pianificazione di uno straordinario progetto d’intervento pluriennale finalizzato a valorizzare e fare emergere i valori ecologici di queste piante.
Ecco, l’uomo, se vuole ancora godere della loro arcaica presenza, deve proteggere questi sui straordinari patrimoni ecologici attraverso interventi silvo-colturali che prevedano tagli di diradamento libero equilibrati e di modesta entità delle piante di pino concorrenti che asserragliano le querce secolari. L’intervento deve essere mirato e discreto, eseguito a macchia di leopardo, distanziato nel tempo e nello spazio, per non compromettere la funzione ambientale del bosco, con l’obiettivo di sostenere queste “piante madri” nel percorso di vita che ancora li aspetta, in modo da assicurare loro una maggiore esposizione alla luce del sole e renderle più vigorose, favorire la mineralizzazione della sostanza organica indecomposta sul suolo, facilitare la crescita del sottobosco e della flora spontanea e aiutarle nel mantenimento dell’equilibrio del sistema di animali e vegetali che rappresenta le irrinunciabili risorse uniche per l’uomo.